Bugiardino

Leggere attentamente le istruzioni prima di consumare il prodotto.
Non si accettano reclami su casi di indotta diarrea, dolori addominali e affini.
Sconsigliato a soggetti di esile composizione tantrica e rompicoglioni vari.
Tutti gli scritti appartengono al sottoscritto, il quale si prende carico di eventuali ripercussioni.




giovedì 26 dicembre 2013

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Pelliccia's corner : THE PRINCES OF PUNK TO COME

Per la serie rubriche saltuarie, l'ultimo atto del 2013 di Pelliccia's corner.

Godetevelo.



THE PRINCES OF PUNK TO COME


Siore e siori, è giunto il momento di parlare di una delle rock bands britanniche più influenti, dal cui canzoniere
innumerevoli epigoni han preso il via...pensavate fossero i Beatles? Eh no, non sono i baronetti - per loro ci vorrebbe
un numero speciale di Pelliccia's Corner per ogni disco da Revolver in avanti - ma sto parlando dei Kinks di Ray e 
Dave Davies (i più metallari di voi conosceranno la cover di "You Really Got Me" ad opera dei Van Halen). 
I Kinks cominciano la loro carriera nel 1964, parte di quella "British Invasion" che scompaginerà le carte del
rock'n'roll tutto, e la cosa che anno dopo anno garantisce alla band un seguito di culto è un certo understatement:
non planetari come i Beatles, nè trasgressivi come i Rolling Stones, neppure selvaggi e sopra le righe come gli Who, 
piuttosto la penna dei fratelli Davies si interroga sullo sfacelo sociale dell'Inghilterra contemporanea, ma viaggiando
fra Mersey Beat, R&B e rock, creando un ibrido affascinante e sofisticato, anti-establishment ma molto teatrale
(senza per fortuna essere barocco ed esagerato come il prog) che troverà poi sviluppo e compimento 
nell'aristocratico Glam di David Bowie; in pratica, dei punk ante-litteram laureati in letteratura...
Se fino al 1970 ogni disco dei fratelli Davies merita di essere comprato e imparato a memoria, da metà anni '70
in avanti, i Kinks asciugheranno il loro suono e si avvicineranno progressivamente ad un suono più "arena rock", se 
così si può dire, perdendo un po' dell'antico smalto ma non la capacità di scrivere dei piccoli gioiellini in musica - basta
ascoltare "Life On The Road", opener di "Sleepwalker", anno di grazia 1977 (mica uno a caso) per rendersi conto
di come il talento non è che nasca proprio dappertutto.




Magic Lantern : Mettiamo il turbo alla nostra reflex Canon !!!

Da poco tempo sono venuto a conoscenza di quest'ottimo firmware.

Una volta seguiti i semplici passi descritti sul sito vi ritroverete dei nuovi menu' che implementeranno il fw

originale di mamma Canon, in modo da poter spremere a dovere la vostra reflex.

Ottimo davvero, soprattutto la sezione video, dove finalmente avrete il piu' completo controllo della

macchina.


qui il download

http://magiclantern.wikia.com/wiki/Magic_Lantern_Firmware_Wiki

a presto con un videotest.





mercoledì 25 dicembre 2013

Vi avevo gia' parlato della mia carriera da attore ?

Qualcuno mi spieghi perche'.


Ogni maledetto Lunedi'.

Da tempo immemore un rito si ripete perpetuo.

Che siano l'afa o il gelo a farla da padroni il risultato non cambia,

ogni maledetto Lunedì si gioca la Partita (volutamente maiuscolo).

Nel corso degli anni decine di volti si sono avvicendati dando vita a storie, personaggi ed aneddoti come

nella migliore delle tradizioni pseudo-calcistiche amatoriali.

Uno scampolo di quanto suddetto lo regalo a voi.







venerdì 13 dicembre 2013

Billy, delicato e devastante genio.

L'ho sempre ammirato.
Quella voce quasi stridula, gli occhi malinconici ed una chitarra devastante.

Grazie di esistere Billy.

Ti disarmo con un sorriso
E ti taglio come vuoi ch'io faccia
Taglio quel bambino
Dentro di me e così gran parte di te
Oh, gli anni bruciano
Solevo essere un ragazzino
Così vecchio nelle mie scarpe
E ciò che scelgo è la mia scelta
Cosa deve fare un ragazzo?
L'assassino in me è l'assassino in te

Amore mio
Ti mando questo sorriso
Ti disarmo con un sorriso
E ti lascio come mi hanno lasciato loro
Ad appassire nella negazione
L'amarezza di che è rimasto solo
Oh, gli anni bruciano
Oh, gli anni bruciano
Solevo essere un ragazzino
Così vecchio nelle mie scarpe
E ciò che scelgo è la mia voce
Cosa deve fare un ragazzo?
L'assassino in me è l'assassino in te

Amore mio
Ti mando questo sorriso
L'assassino in me è l'assassino in te
Ti mando questo sorriso 
L'assassino in me è l'assassino in te
Ti mando questo sorriso
L'assassino in me è l'assassino in te
Ti mando questo sorriso


sabato 7 dicembre 2013

giovedì 5 dicembre 2013

CARCHARODON - So this is ChristmAss

Sarà sicuramente un Natale sentito, da far sanguinare i timpani al solo pensiero.
I cari vecchi Carcharodon penseranno ad allietare i vostri ricchi banchetti festivi con la loro personalissima versione  di una traccia entrata da tempo di diritto nell'Olimpo delle Xmas songs.
L'atmosfera è di chiaro stampo Carcharodoniano, l'inconfondibile sound della band, seppur applicato ad una cover appare ormai come un'entità matura e ben definita.
Il videoclip (nel quale compare anche il sottoscritto ndr) si basa sul concetto del "Party ain't over", che oltre ad essere il sottotitolo del brano, definisce perfettamente il moto perpetuo generato dal Macho Metal partorito dai ragazzacci, una miscela esplosiva di richiami e sonorità tremendamente efficace ed originale.

E buon Natale.







domenica 29 settembre 2013

Pelliccia's corner : Connie Piantoingola

A volte ritornano.
Pelliccia ritorna all'ovile anch'esso parlandoci di fifties.
Non una parola di piu', a te buon P., e come sempre grazie di ricordarti di noi.

Eccomi di ritorno, giuro sulla testa di Eddie Vedder che non sparirò più per così tanto tempo.
Bene, dopo essermi cosparso il capo di cenere, attacchiamo a parlare di musica.
Parliamo questa volta di anni '50, di drive-ins e di vestiti a pois, di ballatone strappalacrime ; Concetta Rosa Maria Franconero
(ottimo cognome), paesana figlia di emigrati negli States meglio conosciuta come Connie Francis, è decisamente
 un'esperta della materia.
Nel 1958, dopo qualche anno di gavetta e di frequenti insuccessi, imbrocca la via giusta; "Who's Sorry Now"
è una vecchia canzone del 1923, perfetta per la sua vocina lamentosa stile "pianto in gola" ma perfettamente intonata,
capace di abbindolare i più ingenui e sognatori fra i teenagers americani, e questo classico lentone da mattonella
diventa in poco tempo un bestseller da milioni di copie in tutto il mondo, Italia compresa. Spronata dall'insperato
successo, nello stesso anno si regala qualcosa di più movimentato, tanto per non rimanere relegata nel ruolo;
"Stupid Cupid" (dalla penna di quel genio assoluto di Neil Sedaka) e l'anno dopo "Lipstick On Your Collar", forse la
sua prova migliore - ma visto che anche nei rock'n'roll leggeri leggeri Connie si ritrova sempre a parlare di cuori infranti,
perchè non ritornare al formato che le aveva garantito tutta quella visibilità?
E così, arrivano "Frankie", "Where The Boys Are", "Breakin' In A Brand New Broken Heart", tutte canzoni
a tema che la mantengono sulla cresta dell'onda fino alla metà degli anni '60, poi il lento, inesorabile declino.
Nonostante tutta questa colata di lagnosa melassa, la ragazza merita un minimo di approfondimento, quindi cercatevi
una qualche raccolta (non il pantagruelico ed inutile cofanetto da 5 cd della Bear Family) e preparate i fazzoletti...


Zello, l'app da non perdere.

Istrionici lettori buonasera.
Dopo eoni di latitanza per pigrizia del sottoscritto, ritorniamo a scrivere su codesto angolo di marasma nella speranza che quanto scritto possa risultare perlomeno interessante a qualcuno di voialtri.
Oggi come da titolo voglio parlarvi di un'app, o piu' correttamente di un software (esiste anche su pc) che a mio avviso ha del prodigioso.
Ricordate gli anni del Cb o Baracchino per qualcuno ?
Si poteva parlare a distanza (non sempre ragguardevole) con qualcuno ancor prima dell'avvento dei telefonini.
L'app in questione, come detto disponibile su pc, iphone, android blackberry e chi piu ne ha piu' ne metta, emula un apparato di radiotrasmissione, si puo' entrare in canali esistenti, crearne di nuovi oppure parlare in privato con altri utenti come si farebbe con un walkie talkie.
La cosa bellissima è che si viaggia via traffico dati, nessun limite di distanza quindi, se avete amici a Singapore ad esempio...
Il funzionamento è semplicissimo, una volta installato si sceglie un nickname, ci si registra ed il gioco è fatto.
La sensazione è proprio quella di parlare al cb, si prende la "portante" (la linea) e si parla, uno alla volta in ruota.
Il consumo di traffico dati è molto contenuto, per contro, mangia molta batteria se si parla,  e se la cosa vi prende, e lo farà, in macchina non accenderete piu' l'autoradio, ma starete sui  vostri canali preferiti.
I canali sono piu' o meno divisi per tematiche, non faticherete a trovare il vostro.

Ah, dimenticavo, io ho un canale che conta già una novantina di utenti, se vi và passate a trovarmi, si chiama

The Burdelluis

7351 a tutti.

venerdì 19 luglio 2013

Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola.

Per non dimenticare.

Quell'estate rimarrà scolpita nella mia memoria, i tremendi fatti che accaddero allora mi svegliarono dal torpore adolescenziale spingendomi a ricercare una verità che purtroppo tutt'oggi non ho trovato.



"...chi comanda non è disposto a fare distinzioni poetiche, il pensiero è come l'oceano, non lo puoi bloccare, non lo puoi recintare, così stanno uccidendo il mare..."
 L.Dalla

venerdì 21 giugno 2013

Pelliccia's corner : Qualcosa sulla vita

Cari meschini lettori,

quest'oggi il sofisticato orecchio Pellicciato propone un gruppo totalmente sconosciuto anche al WebMastro nonchè Me medesimo, non apettatevi quindi il prologhetto come da routine.

Una cosa però ve la voglio dire : lasciate che la curiosità vi spinga a ricercare la VOSTRA bellezza canonica continuamente, e non parlo solo di musica, lo spirito và nutrito anch'esso, ed avere sempre nuovi stimoli è la via migliore per farlo.

Bene, dopo questa riflessione pseudo profonda, tuffiamoci nell'odierna puntata e godiamoci i sempre ottimi consigli dispensati dal nostro diggei di fiducia.

Augh.

Qualcosa sulla vita (vera)

Vedete, un gruppo come i Massimo Volume non necessitano poi di tante parole. Basterebbe condensare in poche parole la profondità di un loro concerto (visti due anni fa a Genova, roba da rischiare un infarto tanto è stato intenso).                                                                                                                                                                                 Certo, si potrebbe raccontare della loro storia, del primo nucleo con Umberto Palazzo (sì, proprio quello del Santo Niente), del nucleo storico Emidio “Mimì” Clementi – Egle Sommacal – Vittoria Burattini che praticamente ad ogni disco cambia secondo chitarrista (ultimo in ordine di apparizione, Stefano Pilia, uno che sulle sei corde fa un po’ quello che vuole), del loro rock teso e spigoloso, apparentemente sghembo eppure innegabilmente matematico, roba per orecchie abituate a Slint, June of 44 e a tutta quella roba in bilico fra “post” e “noise” ma con un occhio e un orecchio sempre attento alla parola “melodia”, della peculiarità che li ha resi unici nel panorama rock del nostro Malpaese, quella cioè di uno stile narrativo dei testi, un parlato che sostituisce il cantato.
Proprio questo è il segreto dei Massimo Volume. Una specie di “reading dell’anima”, dove ricordi di vita vissuta (Clementi è un vero e proprio maudit)e racconti di vita desiderata o temuta (Clementi è inoltre uno scrittore di rara raffinatezza, pubblica regolarmente racconti o romanzi uno più bello dell’altro) si inseguono e si confrontano, sospinti da un tappeto musicale di un’urgenza e di una potenza emotiva rara.
Prendere, come esempio paradigmatico, “Lungo I Bordi”, il loro secondo disco, uscito nel 1995 per i tipi della Mescal. Poeti, tossici, amici, ricordi e notti insonni, fattorini e camerieri, una città vista nella sua dimensione più disperatamente vera. Parlare di un testo più che di un altro sarebbe ingiusto nei confronti di quello lasciato fuori, e parlare di tutti quanti richiederebbe ore, anche perché in più di un’occasione le frustrazioni, le nostalgie, i rancori, gli incubi, le paranoie, le paure, le insofferenze, i dolori, le lacrime, insomma il nero dell’anima di Clementi raggiungono una dimensione quasi universale (e per scrive, anche un po’ autobiografica).
Per cui, se ve la sentite di non poterne più fare a meno, fate da voi.



martedì 28 maggio 2013

Random Access Memories : La mia recensione

Da tempo aspettavo con curiosità l'uscita del disco in oggetto.
Come detto nel post precedente sovente mi piace evadere dalla gabbia del rock and roll e buttare il naso (le orecchie) altrove, alla ricerca di suoni e di atmosfere sempre nuove, ricercandoli negli artisti che della sperimentazione fanno il loro credo.
E i Daft Punk sono della suddetta razza.

Nati musicisti, di quelli che suonano strumenti reali, i due Parigini si sono evoluti in pochi anni in raffinati compositori e produttori di fama planetaria,durante il loro percorso artistico in continua evoluzione, hanno toccato generi diversi sperimentando parecchie alchimie, ed allo stesso tempo sono riusciti a creare uno stile inconfondibile che li caratterizza in ogni loro produzione, quasi sempre acclamati all'unanimità dagli addetti al settore e dal pubblico.

Personalmente, ritengo questo loro ultimo lavoro il migliore della loro discografia, ricca di successi come
Da Funk, Around the world, One More time e Technologic.
Le collaborazioni con artisti del calibro di Nile Rodgers, Paul Williams, Todd Edwards e Giorgio Moroder la dicono lunga sul valore intrinseco dell'opera, che strizza l'occhio alle atmosfere funkeggianti della patinata disco dei seventies.

I brani Get Lucky e Lose Yourself to dance, forse i piu' adatti al passaggio radiofonico, si impreziosiscono per la presenza del mitico Nile Rodgers (Le Freak) alle chitarre, Instant Crush e Beyond  sono brani che richiamano vagamente atmosfere Alan Parsoniane.
Il Vocoder, marchio di fabbrica del duo Parigino, la fa' da padrone in pezzi come The Game of love, Within e Doin it right.
Motherboard è una composizione strumentale che si avvicina al trip hop con influenze new age come la stessa Horizon.
In Contact i ragazzacci si riaccostano ai suoni dei loro primi lavori, molta elettronica, molto gusto.

Ma a mio avviso la vera perla dell'album e' il pezzo nato dalla collaborazione con il mostro sacro Giorgio Moroder.
Una suite di nove e spacca minuti nella quale il maestro racconta i suoi primi passi con i synth per poi sfociare in un crescendo di basso batteria e chitarre amalgamate alla perfezione all'incalzante motivo portante, un finale devastante, dove escono fuori in tutta la loro maestosità i suoni crudi che solo un sintetizzatore sà dare.
A mio avviso un capolavoro di architettura musicale, e non parlo solo di musica elettronica.

Fossi in voi una possibilità all'album la darei, indubbiamente stiamo parlando di una produzione che spopolerà sui mercati discografici del globo intero, ma se sarete disposti a sorvolare sulla annunciata popolarità dell'opera. potreste rimanere piacevolmente sorpresi per il valore artistico e tecnico della registrazione.

Io gli dò un 9/10, e voi ?




mercoledì 22 maggio 2013

Nuovi percorsi musicali : piccolo escursus delirante di un onnivoro delle sette note.

Se c'è un argomento sul quale mi ritengo "indisciplinato" è proprio la musica.
Da eterno mezzo chitarrista quale sono, non nego di avere solide radici rocchettare nel dna, il massimo del godimento per le mie orecchie rimane sempre il suono di una chitarra distorta come dico io.
C'è un aspetto del mio appetito musicale pero' che talvolta viene prepotentemente allo scoperto, stravolgendo il mio concetto di canone di bellezza sonora.
I miei canali uditivi sentono il bisogno, a volte, di esplorare nuovi orizzonti solleticati da basse frequenze che raramente li perquotono durante i miei abituali ascolti.
Tutto cio' per soddisfare la curiosità di ascoltare nuovi suoni, nel senso piu' crudo del termine, che siano essi prodotti da strumenti musicali canonici o sintetici.
Il prog rock, permeato di atmosfere dipinte da moog e synth vari unito alla storica e nauseante passione di mio fratello per la musica elettronica nelle sue sfaccettature piu' crude come techno e progressive, che lo portarono ad avere qualche esperienza come dj, hanno fatto si' che mi spingessi oltre il confine fino ad allora conosciuto.
La musica è arte, contenuti piu' o meno profondi  racchiusi in un involucro chiamato canzone, composta da melodia ed armonia.
Cè un filo sottile che divide la musica dal rumore, a volte impercettibile, sicuramente soggettivo.
Moltissimi compositori giocando a camminarci su quel filo, hanno dato vita ad opere d'arte assoluta facendo un uso massiccio di sintetizzatori ed arranger.
Mi viene in mente Vangelis, che dopo la fortunatissima esperienza con gli Aphrodite's child compose capolavori diventati immortali nell'immaginario collettivo come Momenti di Gloria o il tema portante del Film Blade Runner.
Giorgio Moroder, nostrano produttore e compositore di fama planetaria, che insieme a Donna Summer rivoluziono' completamente i suoni della musica elettronica.
E poi Jean Michelle Jarre, Alan Parson, Yanni, tutta gente che tramite la sperimentazione sondo' terre inesplorate nell'immenso universo chiamato musica.
Le mie orecchie ringraziano anche loro, pionieri di un'epoca che oggi sembra lontanissima, una dimensione che con gli anni si è evoluta dando vita  a gruppi come i Depeche Mode, i Portishead, ed in tempi piu' recenti  i Chemical Brothers e i Daft Punk.
Anche loro sono Rock, nel senso piu' ampio del termine.


mercoledì 8 maggio 2013

Le Roi est mort, vive le Roi !

Dopo dieci anni di onorato servizio,  è deceduto il mio amato ordinateur "carro armato". Un benvenuto al successore "mezza sega"

domenica 28 aprile 2013

Pelliccia's corner : Sometimes wishes, they come true

I favolosi sixteens.

La puntata odierna ci catapulta direttamente ai glitterati 60.
Egemonizzati dagli Scarrafoni gli anni in questione offrirono col filone beat una non omogenea schiera di pseudo bands.
Tra cui i Monkees in questione.

Io sono un credulone.

Sometimes wishes, they come true
Arieccoci a scribacchiare di musica, dopo due settimane di brutti bruttissimi lutti a sette note (Chi Cheng, il bassista dei Deftones prima, poi Storm Thorgenson – l’uomo dietro alle copertine dei Pink Floyd – e Ritchie Havens, l’incredibile autore di “Freedom” che armato di sola voce e chitarra stregò Woodstock nel ’69) che han messo nel cassetto la mia voglia di scrivere. Beg your pardon.
Ora, il prossimo gruppo ha molto a che fare coi Fab Four. Sì, proprio i Beatles. Non tanto direttamente, quanto indirettamente. Infatti, i queattro ragazzotti in questione, tre americani di Los Angeles più un inglese, vengono scritturati dalla NBC nel 1965 come attori; dovevano interpretare sullo schermo la storia di una band che voleva diventare famosa come John Paul George e Ringo, ma senza riuscirci. Peccato che i Monkees trasformano la stessa sigla del programma in un piccolo hit, e nello stesso anno (1966) con Last Train to Clarksville e soprattutto I’m A Believer (esatto, quella che gli Smash Mouth hanno rifatto benissimo per Shrek non riuscendo comunque a superare lo splendore dell’originale) fanno un botto tale che i dirigenti della NBC (e della RCA, che pubblicherà i loro dischi) intravedono la nuova gallina dalle uova d’oro. Ragion per cui, in un solo anno, i Monkees pubblicheranno ben tre dischi, prova dura ma che dà esaltanti e insperati frutti. Ma il ferro va battuto finchè è caldo, e nel 1968 escono altri due dischi, frutto della collaborazione con un altro astro nascente, Harry Nilsson (sì, quello di Everybody’s Talkin’); il primo contiene due gemme come “Pleasant Valley Sunday” e “Words”, il secondo quella “Valleri” che da sola venderà oltre un milione di copie, roba che neanche lontanamente ci si sarebbe aspettati. E’ una vera e propria Monkees-mania!
Ma qui il giocattolo si rompe; cinque album in nemmeno due anni, una dozzina di singoli sono quanto la magica macchina sforna-hit riesce a produrre prima che le continue apparizioni televisive e i ritmi frenetici di produzione a cui è sottoposta svuotino completamente il serbatoio e riducano i Monkees a una sbiadita copia di loro stessi, spremuti tra 1969 e 1970 e costretti a pubblicare roba davvero di poco conto, prima di sciogliersi e di riunirsi tristemente a metà anni ’80 con un disco che definire brutto è un eufemismo (lasciamo perdere quello di metà ’90 che è buono giusto a non far traballare qualche sedia sbilenca).
Se volete gustarvi il meglio di questa combriccola, cercate una compilation che raccolga i singoli, preparate la parrucca a caschetto e gli stivaletti, e dateci dentro. Yeeeeeee!


lunedì 22 aprile 2013

prodigialis humanum genus : TruceBaldazzi

Una nuova rubrica :

il meglio che la nostra variopinta e variegata specie possa offrire.

Puntata uno :

Il TruceBaldazzi



venerdì 19 aprile 2013

Tor, Silk Road e Bitcoin: il Deep Web.

Che la rete internet sia un'entità in continuo sviluppo è cosa nota, che la si possa girare (quasi) liberamente un pò meno.
Il fenomeno denominato Deep Web, o web sommerso, è una realtà tangibile che pur essendo sempre meno segreta rimane un tabu' insormontabile per molti.
Ma non per tutti.
I motori di ricerca classici , non indicizzano proprio tutto il contenuto del web, ci sono pagine che per censure di vario genere ad esempio, risultano irraggiungibili da determinati paesi, a volte semplicemente per problemi di copyright.
Esiste un metodo, denominato Tor clicca per info, che ci permette tramite un sistema di rimbalzi su host sparsi per il globo di essere completamente invisibili sul Web, e qui inizia il gioco.
Tramite il download di un semplice sw, ognuno di noi puo' rendersi invisibile, ed essendo tale potrebbe teoricamente fare quello che normalmente gli sarebbe vietato.
Da questo punto di partenza, nato per tutelare il navigante, il cyber malavitoso trova un trampolino per una miriade di potenziali attività illecite da svolgere nel piu' totale anonimato.
Una volta scesi in profondita' quindi, sappiate che potrete avere a che fare con il peggio della società moderna, assassini, trafficanti e maniaci di ogni sorta.
Sulla scia di tale fenomeno nasce Silk Road clicca per info, un market virtuale dove poter comprare tranquillamente armi, droga o assoldare ad esempio un sicario.
Sì daccordo, ma come è possibile direte voi, oggigiorno ogni movimento di pecunia che facciamo è tracciabile, come fà questa gente ad operare senza farsi sgamare ?
Semplice, il Bitcoin clicca per info, moneta virtuale nata da pochi anni, è un fenomeno in enorme sviluppo, una moneta autonoma, sicura e anonima che addirittura comicia ad essere accettata anche da grosse catene online.

Il web è proprio un mare, e quando navighiamo come in mare appunto, non sappiamo cosa stà al di sotto di noi.

p.s.Grazie a Marco per avermi fatto scoprire tutto questo.

domenica 7 aprile 2013

Pelliccia's corner : Unfinished Genius

" Io non capisco tutto questo Roc'n roll, io non capisco La Si Do Re Mi Fa Sol ".

La puntata odierna del corner, si apre parafrasando l'inimitabile Elio che tesse le lodi nel testo citato della

famigerata Disco Music dei seventies.

Parleremo allora di disco direte voi, manco per il cazzo (usando un francesismo) vi rispondero' io.

Il fatto è che il genere di cui parliamo questa sera, il trip hop appunto, è quanto di piu' lontano si possa

andare, prendendo una direzione diversa dalla sopra citata disco music da un ipotetico centro chiamato rock

and roll.

Possiedo e conosco il disco in disamina, Heligoland, e personalmente seppur riconoscendo l'alto valore

artistico dell'opera non lo ritengo minimamente all'altezza di un Mezzanine, album che ho adorato.

Ma adesso spazio al preparatissimo Mister P, che ci condurrà in una nuova delirante avventura in pieno

Pelliccia Style.

Tacalamusica.


Unfinished Genius

Certamente molti di voi ricordano i Massive Attack come il gruppo di “Mezzanine”, di quella splendida canzone che è “Teardrop”. I più scafati di voi, forse, se li ricordano dai tempi di “Protection” e “Blue Lines”, quando gettarono assieme ad altre menti illuminate i semi di quella che fu la scena trip-hop. Ma in pochi, ahimè, se li sono filati dopo “100th Window”…bene, io son qui a porre un piccolo piccolissimo rimedio parlando del loro ultimo disco, “Heligoland”, uscito nel 2010. Del Naja e (nuovi) compari non son certo rimasti con le mani in mano per sette anni, tra colonne sonore, comparsate qui e là e registrazioni mai date in pasto alle orecchie di noi appassionati. Ma questo disco, se possibile, li spinge un ulteriore passo avanti in ogni planetario indice di gradimento.
Disco intenso, non facilissimo e per questo ancor più interessante, “Heligoland” è il secondo disco che 3D (mr. Del Naja) assembla senza l’ausilio dei suoi storici soci Daddy G e Mushroom (il secondo, soprattutto, artefice dell’incredibile armamentario sampladelico dei dischi precedenti), ma non sfigura assolutamente rispetto ai suoi predecessori; merito dell’indubbia qualità del songwriting, merito dei musicisti coinvolti (un nome su tutti Adrian Utley dei Portishead), merito anche dell’impressionante parterre di voci chiamate a interpretare i pezzi; se Horace Andy è ormai una presenza fissa nei dischi del combo di Bristol, notiamo Martina Topley-Bird, Hope Sandoval dei furono meravigliosi Mazzy Star, Guy Garvey dei mai troppo lodati Elbow, Tunde Adebimpe dei TV On The Radio e uditeudite Damon Albarn!
Ma veniamo alle canzoni: “Pray For Rain” (cantata da Adebimpe) apre con un piano minimale e un tappeto percussivo coinvolgente e ipnotico, quasi un sunto delle migliori intenzioni di certi Radiohead; “Babel” con la splendida voce della Topley-Bird continua il viaggio con un sinuoso magma electro, mentre “Splitting The Atom” è sorretta dalla profondissima voce di Horace, e da un contrappunto di organo da brividi; “Girl I Love You” ci regala uno dei migliori giri ritmici degli ultimi anni, roba che neanche un morto riuscirebbe a stare fermo…e “Psyche” arriva a far riprendere fiato, eterea e impalpabile; a proposito di trip-hop, arriva un gioiellino come “Flat Of The Blade”, immobile e solenne, carezzata dalla voce meravigliosamente triste di Guy Garvey – e a proposito di voci meravigliose, in “Paradise Circus” Hope Sandoval prende per mano l’ascoltatore e lo porta davvero in paradiso, alla faccia di tutto l’esercito di giovani scopiazzatrici un po’ povere di talento di questi anni (chi ha detto Lana Del Rey?) “Rush Minute” è forse l’episodio più sottotono del disco, ed è (assieme a “Atlas Air”, la dimostrazione che si può provare a inscatolare l’infinito in sette minuti con l’ausilio di qualche colpo di batteria e di un malatissimo e devastante riff costruito sull’organo) l’unica prova vocale di Del Naja. Il fulcro del disco, la vetta assoluta, è però raggiunta dalla traccia numero nove: “Saturday Come Slow”. Tre minuti e ventotto secondi di estasi completa, un tappeto acustico struggente, interventi elettronici misurati (e qui di nuovo fanno capolino i Radiohead, a dimostrazione di quanto dannatamente sian stati influenti) e la voce di Damon Albarn, rotta e magnifica, che con invidiabile partecipazione emotiva si butta in un testo grigio come il cielo britannico.
Cosa ci fate ancora qui a leggere quesato inchiostro virtuale? Filate a comprarvelo, se invece già lo avete mettetevelo su, e rendete il giusto merito a uno che di musica se ne intende. Robert, eh……..



martedì 2 aprile 2013

Bonamassa for President

Non ho aggettivi per descrivere cotanto talento.

Un timidissimo Pino Daniele sembra quasi sparire sul palco.

Eroe.


giovedì 28 marzo 2013

Ridatemi l'S3.

Non voglio apparire veniale.

Sò bene che il paese sta attraversando un momento delicato, gli indici di borsa calano inesorabilmente, la bella stagione non arriva, l'economia và a rotoli e la gente sta a faticà, e la fame nel mondo, e il nuovo Papa ma ...

Ormai lo dico.

Lunedi', come ciliegina ad una giornata a dir poco disastrosa mi sono fatto un regalo:
ho distrutto il mio Galaxy s3 nuovo di pacca.

Non sono un high tech victim ma mi piace tenermi aggiornato, ho veramente ponderato l'acquisto di un oggetto ricco di cotanta tecnologia concentrata in una pseudo saponetta e sono sincero ne sono (ero) molto entusiasta.

Fino a Lunedi'.

Scendo un minuto dalla macchina, l'oggettino mi cade e non me ne accorgo, torno a bordo e parto.

Tempo di accorgermi dell'accaduto e ritornare in loco ed il patatrac è fatto :
riverso sul freddo asfalto vedo il fido gingillo tecnologico e mi fiondo a raccoglierlo mentre nel frattempo passa un'auto e lo travolge sotto le ruote, probabilmente non è la prima a farlo.

Tutto il resto ve lo lascio immaginare.

Credo di avere scorto fra le nuvole una scala mobile che trasportava verso il basso tutti i santi da me invocati per l'occasione.

Confido ora nell'animo buono del tecnico dell'assistenza, e, scusate la blasfemia, mi rimetto alle sue "sante" mani.

Così sia.


martedì 19 marzo 2013

Tomaso e le conoscenze in loco

Terza parte degli scritti di Tom pubblicati sul blog del Cala.

http://ilcala.blogspot.it/2013/03/mi-chiamo-tomaso-bruno-terza-parte.html


condividere please !!!

Don't Fear The Eighties

E' tornato Pelliccia, è tornato.
Il nostro uomo today si immerge nella decade che per molti di noi significa infanzia, con il suo edonismo Reganiano, i capelli cotonati, il pop swatch al polso e lo spunti' come merenda.
Inutile ricordare che musicalmente gli anni in questione siano stati alquanto "bizzarri", ed in quanto tali prolifici sotto il punto di vista creativo.
Su un ipotetico asse delle ordinate troveremo ad esempio molte piu' variabili negli anni in questione piuttosto che nella decade precedente, che seppur molto produttiva fu' sicuramente meno innovativa di quella che la seguì.
I Talking Heads.
Non mi pronuncio in merito per paura di essere troppo di parte, vi basti sapere che annovero Byrne fra i primi dieci fenomeni della musica mondiale di tutti i tempi, e qui mi fermo.
Detto cio' lascio spazio all'autore della rubrica che per l'ennesima volta ci delizia con una delle sue leggendarie disquisizioni.

Vai Jack. Ehm, Pelliccia.


Don’t fear the Eighties
Se c’è un decennio che a livello musicale crea qualche scompenso,beh quelli sono gli amati/odiati ‘80s. Pietra tombale del punk per alcuni, per altri il decennio della musica pop che conta – per me anni impossibili da buttare, considerando che ne è venuta fuori roba come Nick Cave, Cure, Fugazi, Dinosaur Jr, Sonic Youth. Il fatto è che, tralasciando chi ha cominciato a fare musica proprio in quel decennio, gli artisti arrivati dagli anni ’70, se non peggio dagli anni ’60, si son ridotti in quegli anni a incidere delle solenni porcherie, artisticamente suicidandosi o riducendosi in fin di vita (a onor del vero, alcuni si sono garantiti la pensione d’oro, con dei dischi mediocri…non vi dico a chi penso per evitare strali da parte del webmastro). Ma come in tutti i frangenti, vi sono delle magnifiche eccezioni.
Una di queste parte nel 1977 con un disco che anticipa la new wave e definisce le coordinate del cosiddetto “art punk”, snodandosi poi attraverso i famigerati anni in questione in un territorio inesplorato dove Pop, Rock, Funk, World Music, Wave (e chi più ne ha più ne metta) si incrociavano con allegra eresia; ovviamente sto parlando di David Byrne e di quei geniacci dei Talking Heads.
Se parte della loro fortuna artistica e commerciale e dovuta all’indubbio talento fuori dal normale dei quattro musicisti coinvolti nel progetto, parte è anche dovuta all’uomo dietro il mixer, che per quattro dischi è stato nientepopodimeno che Brian Eno (ed è risaputo, dove il ragazzo mette le mani, esclusi i Coldplay, fa dei miracoli); lui li ha avvicinati alla funkadelia, alle poliritmie del continente nero e a Fela Kuti, lui ha contribuito a sviluppare il caleidoscopio di influenze che si agitava nelle quattro teste e a renderlo così naturale e fluido su disco, trasformando “semplici” canzoni pop come “Once In a Lifetime” o “Burning Down The House” in veri e propri capolavori.
Ma se dobbiamo parlare di un loro disco, io mi getto su “Little Creatures”, targato 1985, e secondo disco senza la produzione di Eno (qui Byrne e soci fanno da soli, autoproducendosi); sebbene non sia organicamente il loro lavoro più bello, ma quello che ha venduto di più, rimane comunque un disco per palati fini, se lo si esamina bene si possono trovare, oltre ai rimandi stilistici di cui sopra, anche un certo malcelato interesse per la musica country e per le radici ‘mmerecane (fanno fede a tal proposito la steel guitar su “Creatures Of Love” - ovvero come suonare come i Dire Straits senza risultare noiosi come i Dire Straits - e “Walk It Down”, piuttosto che la washboard e l’accordion su “Road To Nowhere” ), e in molti a questo disco han prestato un orecchio attento, tanto che la opener “And She Was” farà da paradigma per il sound dei R.E.M. a venire…





sabato 16 marzo 2013

Led Zeppelin : Kennedy center onors

Best band ever.

Così li definisce il camaleontico Jack Black durante la premiazione agli onors 2012,

affermazione molto forte e sinceramente che non mi sento di condividere, o perlomeno non in toto.

I ragazzi ('na vorta) appaiono visibilmente emozionati durante le performance degli artisti che li celebrano

suonando i loro pezzi, segno di intatta genuinità d'animo.

Straconsigliato il video dell'evento, con degli ispiratissimi Foo Fighters in un'inedita formazione con Taylor

Hawkins alla voce.

Che altro aggiungere.

Icone.



Tomaso, la giornata tipo

Secondo manoscritto pubblicato sul blog del Cala,

Tomaso descrive minuziosamente la sua giornata tipo all'interno del carcere Indiano.


http://ilcala.blogspot.it/2013/03/mi-chiamo-tomaso-bruno-seconda-parte.html

venerdì 15 marzo 2013

Tom ed Eli, all'ombra dei Maro'.

Le ultime sulla vicenda dei due fucilieri Italiani prigionieri in India sicuramente non gioveranno alla situazione dei ragazzi, ma sull'ennesima ondata di attenzioni a riguardo cerchiamo nel nostro piccolo di uscire alla luce.

Dal blog dell'amico Il Cala :

http://ilcala.blogspot.it/2013/03/mi-chiamo-tomaso-bruno-prima-parte.html

martedì 26 febbraio 2013

pelliccia's corner : senza vergogna

Senza vergogna.
Un' affermazione che di questi tempi dovrebbe essere molto in voga, e non per quanto riguarda i gusti musicali ma ... tant'è, andiamo oltre.
Mr. P ci propone stasera un gruppaccio dedito al pezzo buca classifiche, il classico rozzo, orecchiabile e sornione rock spavaldo.

E allora cafonaggine sia.



Senza Vergogna


Io l’avevo detto, all’amico blogmastro, “preparati perché a ‘sto giro ho davvero esagerato”. Ed era un bluff, perché non avevo ancora niente di fulminante in mente.  Pensa che ti ripensa, scartabella che ti scartabella, arrivo davanti alla copertina di “Smashes, Trashes and Hits” degli smascherati Kiss anni ’80 e un pensiero mi fulmina la mente: non son certo stati loro i primi “esagerati” nel mondo del rock, e il cattivo gusto in musica non è certo solo appannaggio loro o di gruppi tipo i Darkness, quindi tornando indietro indietro nel tempo, qualcuno ci doveva pur esser stato a “preparare la strada”, per così dire, a un’orda di gruppi più o meno famosi e più meno capaci a far tenere al pubblico le birre in aria per tutta la durata del concerto mentre canta ogni ritornello a squarciagola con fiera, caparbia ignoranza (un po’ quello che succede ai vascomani oggi, con l’aggravante che credono di cantare cose intelligenti…)
Così, quest’oggi, spalanchiamo le porte sui probabili padri putativi di un bel po’ di “ignoranza”.               Ladies and gentlemen, i Bachman-Turner Overdrive.
Canadesi come i loro compatrioti Guess Who - gli autori di “American Woman” - dai quali proviene Randy Bachman, rubano il nome da una rivista di autoarticolati (pensa te) e nel 1973 esordiscono col loro album omonimo, non preoccupandosi minimamente di suonare freschi e/o originali; un occhiolino alle atmosfere latine di Santana con “Blue Collar” – che infatti colpisce nel segno ed entra in classifica – e un orecchio ai riffoni di scuola hardblues, ben esemplificati da un pezzo come “Gimme Your Money Please” che in forma ancora embrionale aveva fruttato loro un contratto con la Mercury Records.  Ma i ragazzi mica dormono sugli allori, e sei mesi dopo se ne escono  con un altro lavoro, e qui davvero sbancano, inanellando una serie di singolacci da alta classifica tipo “You Ain’t Seen Nothing Yet” e “Takin’Care Of Business” , pezzi che fanno la loro bella mostra in qualsiasi compilation rock da autogrill – tanto per rimanere in tema.                 Da qui al 1977, anno del loro scioglimento, i nostri tengono banco al ritmo di un disco l’anno, conquistando regolarmente i piani alti delle classifiche, anche in virtù di brani come “Roll On Down The Highway”, “Hey You”, “Take It Like a Man”, tutti un fiorire di power chords, handclapping e ritornelli a presa ultrarapida, roba decisamente poco complicata e tanto, tanto apprezzata dalle masse rockeggianti di cui sopra.
In realtà, questo è un piccolo test. Se sentendo le canzoni di cui sopra dimostrate un apprezzamento più o meno marcato, ma vi viene subito voglia di ascoltare altro, allora è tutto nella norma, la tamarraggine in musica se assunta in dosi ragionate non ha mai fatto male a nessuno, io per primo sono orgoglioso della mia discografia dei Kiss e di un'altra cinquantina almeno di dischi ad alto tasso di testosterone e a bassissimo tasso di raffinatezza (i miei preferiti, i Grand Funk Railroad, quelli sì che sono uno spettacolo)                         Se invece finite col cercare quelle compilation da autogrill, iniziate a preoccuparvi, e sul serio…


lunedì 18 febbraio 2013

Quanto mi piacciono i Nobraino ...

https://www.youtube.com/watch?v=NVCr9Fj09hA&feature=youtube_gdata_player

Polo Music, il locale che non c'era. Intervista eclusiva a Cesare Arena.

Avete presente crossroads, quel film in cui il mitico Daniel-San di karate kid sfida e smerda con la chitarra alcuni dei piu' grandi al mondo in un locale gremito di gente affamata di musica ?
Roba da film, daccordo, come purtroppo sappiamo la nostra zona non è molto avvezza a sfornare posti che incentivino le persone che suonano o che semplicemente desiderino ascoltare musica live in un contesto ruspante, genuino.
Ma c'è del nuovo all'orizzonte.
Da stasera grazie all'impegno, la costanza e la passione di un uomo, l'amico Cesare Arena,  qualcosa prende forma, un qualcosa che non ha precedenti, perlomeno in zona.
L'idea di base è quella di offrire una sala prove, utilizzabile all'occasione anche come sala per feste, e fin qui tutto nella norma, l'altra parte del progetto, alquanto ambizioso, è quella di integrare un mercatino di strumenti musicali usati e soprattutto creare un circolo (di tesserati ovviamente) dove poter ascoltare e/o suonare musica live.
Questa sera all'inaugurazione noi c'eravamo, ed i presupposti per far sì che l'idea decolli sembrerebbero esserci tutti.

Abbiamo chiesto al buon Cesare quali sono le sue aspettative, qui la breve intervista :







Non ci resta che restare sintonizzati ed augurare il meglio a Cesarone e alla sua impresa.
Go !!!


giovedì 14 febbraio 2013

Pelliccias Corner : Feel the Funk Blast

Siamo rocchettari.
Fondamentalmente siamo rocchettari inclini ad esplorare i meandri piu remoti di tutto cio' che possa essere arricchito da un distorsore.
L'ingordigia che ci caratterizza ci spinge a volte oltre, territori inesplorati diventano sovente piacevoli sorprese che ci solleticano le trombe di Eustacchio.
A volte la "sterzata" la si dà a causa di un gruppo che ci mostra la via che porta ad un'altra dimensione musicale, altre avviene in maniera brusca, fulminea, basta magari un pezzo a farti scoprire un intero genere (come nel caso dei Beastie Boys citati da Pelliccia).

Ma fuoco alle polveri, il P. oggi ci parla di hip hop broda !!!

Feel the Funk Blast


Il pezzo di oggi nasce da un paio di riflessioni concatenate senza (apparente) senso logico suggeritemi in questi ultimi giorni dal Grandmaster Traina. Parlando di Rage Against The Machine (feel the funk blast) e ricordando i bei tempi andati in cui facevamo girare i Beastie Boys su quella disastrata Panda con lo stereo non schermato, mi è venuta fuori una straordinaria di voglia di hip hop. Ma non le merdate di adesso – soprattutto quelle del Malpaese – bensì di roba vecchia se non vecchissima addirittura…e così…Afrika Bambaataa, al secolo Kevin Donovan, vero padre di tutta la scena a divenire.
Classe 1957, cresciuto nel Bronx in una famiglia dove l’attivismo per i diritti civili dei neri era di casa, il giovane Kevin si infila ben presto in una delle innumerevoli gangs del posto. Ma invece di fare la fine di uno Snoop Dogg qualunque, il ragazzo usa il cervello e scopre che c’è un’arma infinitamente più potente di ogni pistola; si chiama cultura, si manifesta come musica sotto forma di una smisurata ed eclettica collezione di dischi, generosamente fornita da mammà. Complice un viaggio in Africa, et voilà, Kevin Donovan diventa Afrika Bambaataa, e la sua gang diventa la Universal Zulu Nation, che in breve diventerà la culla del nascente movimento hiphop (a proposito, il termine sembra derivi dallo scimmiottare il passo di marcia dei coetanei di colore arruolati nella US Army…)
Che poi, in realtà, l’hiphop così come era nato era “semplicemente” del buon vecchio funk irrobustito da solide basi elettroniche e da una maniera nuova di cantare il proprio disagio, la propria condizione (altre cose mutuate da un certo funk, a volerla dire tutta – nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma).  Nel suo specifico caso, poi, le basi elettroniche sono frutto di un intelligente lavoro di sampling che va a pescare da mostri quali Yellow Magic Orchestra e Kraftwerk, risuonati in studio e plasmati a proprio uso e consumo.
Non mi avventuro più di tanto nella discografia di Afrika Bambaataa, il che vorrebbe dire inerpicarsi in una giungla di singoli, progetti paralleli (tra cui è però doveroso menzionare il disco “Sun City”, uscito come manifesto anti-apartheid e pieno zeppo di collaborazioni, da Ringo Starr agli U2, da Peter Gabriel a Miles Davis, da Ravi Shankar a Keith Richards) e vecchi e nuovi compagni di avventura; chi volesse approfondire puo’ usare come ottima base di partenza la raccolta “Looking  For The Perfect Beat”, uscita nel 2001 per i tipi della beneamatissima Rhino.
No matter how hard you try, you can’t stop us now.





Days of gigioneries : Tino e il Tablet

Una bella risata, come provato da fior fior di scienziati migliora la qualità della vita.
A volte non bisogna neanche andare a cercarla, è lei che trova noi, dobbiamo fare solo in modo di essere con i personaggi giusti nel luogo e nel momento giusto.
E modestamente, il sottoscritto è un maestro in tale arte.
Il buon Tino, idraulico in pensione e amico di svariate battaglie, ci mostra la sua innata dote si saper utilizzare un tablet.
Questa è la vita che amo, queste sono le cose che mi rendono ricco.
E non scherzo.






domenica 10 febbraio 2013

mi ricorda qualcuno, qualcun'altro che vorrebbe essere eterno ...


gioielli dal passato : Operazione San Gennaro

Ogni tanto mi piace scovare qualche vecchio film in bianco e nero da rispolverare o scoprire, sul tubo ce ne sono a bizzeffe, completi.
Ieri sera mi sono sparato il film in oggetto.
Totò e Nino Manfredi, rispettivamente Don Vincenzo, un attempato e rispettato boss locale e Dudu'. un rampante fuorilegge.
Una spedizione di Americani si mette in testa di rubare il tesoro di San Gennaro e chiede a don Vincenzo, al gabbio, personale sul posto per effettuare il colpo.
Una commedia vivace e molto piacevole, ricca di quell'ingenua comicità che oggi è merce rara.

Io gli dò un 7+.


mercoledì 6 febbraio 2013

Pelliccia's corner : quel ramo del Mississipi

Bettole fumose, combattimenti di galli e bische clandestine, questa è l'atmosfera in cui ci si proietta questa sera qui al Pelliccia's.
Il Blues, per certi versi genesi del rock and roll, il punto da cui parti' l'evoluzione della musica moderna, raccontato in uno dei tantissimi artisti che lo resero tale.

Let my Mojo Working.


Non sparate sul pianista…o il pianista vi prenderà a pugni
Bentornati e bentornate, se state leggendo queste righe significa che le puntate precedenti di questo jukebox virtuale fatto di tante parole e tanta musica un pochino vi aggrada…e allora, mettiamo alla prova il vostro palato con una pietanza semplice ma ricca di sapori.                                                                                                                                                                          Questa volta si parla di un bluesman forse poco conosciuto ma parecchio interessante, uno di quelli che incarna lo stereotipo della vita rocambolesca che ogni giorno ti regala almeno un aneddoto o una disavventura da cui tirare fuori una canzone. Signore e signori, “Champion” Jack Dupree.
Jack nasce a New Orleans, a luglio. Il giorno e l’anno non sono sicuri, diciamo tra il 1908 e il 1910, siamo però sicuri del fatto che a due anni finisce nello stesso orfanotrofio dove capitò pure il signor Louis Armstrong…sarà che per un nero in quegli anni vivere non era certo una passeggiata in un giardino di rose, sarà che il diavolo se esiste sta di casa a New Orleans e ti insegna a suonare uno strumento e a fare del blues, fatto sta che il nostro Jack impara a suonare il piano, e comincia a esibirsi nelle bettole più malfamate, riuscendo a guadagnarsi un buon seguito  grazie a uno stile sobrio ed essenziale; un pianista di certo non virtuoso, ma dannatamente coinvolgente.                                                                                                                   Lasciata New Orleans si trasferisce prima a Chicago e poi a Detroit, dove per non farsi mancare niente si lancia nel mondo della boxe, diventando un discreto pugile (qui gli verrà affibbiato il soprannome “Champion” grazie ai numerosi incontri vinti)e registrando le sue prime cose, tra cui il fortunatissimo “Walkin’ Blues”, e dopo aver fatto il cuoco nell’esercito yankee, durante il secondo conflitto mondiale, si trasferisce in Europa, lavorando come cuoco specializzato nella cucina creola di New Orleans e spostandosi fra Inghilterra, Svezia, Danimarca, Svizzera e Germania, registrando i suoi pezzi con gente del calibro di Tony McPhee, The Band, Mick Taylor, John Mayall ed Eric Clapton e continuando a suonare fino al 1992, anno in cui è morto.
Champion Jack Dupree, dicevamo sopra, non era certo un funambolo come Jerry Lee Lewis,ma ci sapeva fare eccome al piano; spiccato senso del ritmo, sempre in bilico fra blues e boogie, più incline a usare lo strumento non come farebbe una primadonna desiderosa di attirarsi addosso i riflettori, ma piuttosto come fosse un tavolo sul quale servire le “solite” storie di prigione, droga, fatti di sangue, donne ben lontane dall’essere esempi di virginale purezza che fanno perdere il senno, …insomma, l’armamentario di ogni bluesman che si rispetti, cantato però con una voce pulita e misurata come di rado si sentiva in quel periodo; per farvi un’idea più precisa, sentitevi Mean Ole Frisco, Mr.Dupree Blues, Shake Baby Shake, Junker’s Blues, Big Leg Emma’s, Shake Dupree Dance.
E ora, immaginatevi in una fumosa “barrelhouse”, carte in mano, una splendida pupa (o un fascinoso mascalzone) al vostro fianco, una bottiglia di whisky di contrabbando sul tavolo…e in angolo, il pugile, il pianista, il cantastorie, il ragazzino della piantagione, il cuoco, il bluesman. Tutti a battere il piede a tempo, tutti a cantare la propria incredibile vita attorno al piano di Champion Jack.



venerdì 1 febbraio 2013

Menu del giorno

Stasera lo chef consiglia :
Gnocchetti di patate con asparagi e pomodoro
Filetto burro e salvia con patate
Lesse
Buon Appetito.

lunedì 21 gennaio 2013

Puntatrice fai da te - Diy spot welder

Ormai lo sò,
il mio cervello ciclicamente cade in uno stato acuto di astinenza da minchiata, e così in men che non si dica mi imbatto in pseudo progetti partoriti prendendo spunto da qualcosa di visto in giro oppure a zonzo per la rete.
Il progetto in questione, segnalatomi dal buon Patacca, permette di costruirsi una saldatrice a punti, come quelle utilizzate sulle carrozzerie delle auto per intenderci, partendo da un vecchio forno a microonde fuori uso.
Estirpiamo dall'elettrodomestico il trasformatore di corrente,  facciamo delle spire con un grosso cavo di rame sostituendo il ramo secondario preventivamente eliminato, ed aggiungiamo due bei puntali in rame:  puntatrice fatta e finita.
Comunque sia, troverete in rete molti tutorial su come procedere, ocio però, sono giochi PERICOLOSI.
Ora voi direte: 'zzo te ne fai di una puntatrice ?
Sinceramente non lo sò neanche io, ma il fatto di averla disponibile in officina mi rende frizzante.



Pelliccia's Corner : la mia vita è una playlist

Signore e signori, vecchi e bambini, è tornato il Pelliccia.

Le voci che lo volevano rinchiuso in un monastero confuciano nel cuore della catena Himalayana, intento a smaltire dal corpo e dallo spirito il surplus subculturale assimilato durante l'ultimo anno si sono rivelate infondate.
La prima annuale della rubrichetta parte con uno sprint degno del miglior Mennea, uno scritto che trasuda  voglia di condividere emozioni e sensazioni  palpabili e (forse) condivisibili attraverso il canale che il buon P. meglio conosce: le sette note.

Gentleman, start your engines.

P.s. Quando passo a prendermi il disco di Giovanni Bongiovanni ?



La mia vita è una playlist

Bene, dopo la pausa di fine 2012 inizio 2013 ritorno a sporcare di inchiostro virtuale i vostri schermi…
Questa settimana, voglio parlare di un gruppo che mi ha colpito come una pietra in fronte durante un tafferuglio in piazza…a partire dal nome, The Soundtrack Of Our Lives. Vale a dire, “La colonna sonora delle nostre vite”, una dichiarazione d’intenti e insieme una confessione spudorata di musicodipendenza…e come può il sottoscritto, la cui vita è una playlist in continuo cambiamento, il cui cuore batte probabilmente in 5/8, che da bambino ha probabilmente ricevuto le sue vaccinazioni da una puntina di giradischi (chi individua la citazione vince il disco in questione) non innamorarsi perdutamente di un gruppo che ha scelto questa azzeccatissima ragione sociale?
Bene, i TSOOL (abbreviati ricordano tanto quella meraviglia di gruppo punk dei TSOL) nascono in Svezia, il nuovo Eldorado del rock’n’roll, nel 1995, e si fanno subito notare per la loro esplosiva miscela di reminiscenze sixties, suggestioni psichedeliche e stilettate punk. Insomma, prendete un po’ di Rolling Stones, un pizzico di Kinks, una spolveratina di Who, dategli un po’ di sapore aggiungendo gli Stooges et voilà, eccoli serviti, un sacco di influenze declinate in maniera personale e convincente, un ideale trait d’union fra gli Hellacopters e gli Oasis (con cui andranno in tour nel 2002 negli Stati Uniti per pubblicizzare il loro terzo disco, e scommetto che li hanno asfaltati come una stradina di campagna).
Sulla carta il piatto è saporito…ma la prova palato? “Origin vol. 1”, uscito nel 2004 e schizzato al primo posto delle classifiche svedesi, tanto da aggiudicarsi un disco d’oro, roba impensabile qui da noi…il disco parte con “Believe I’ve Found”, una fantastica galoppata fricchetton/psichedelica con tanto di iniziali riverberi pinkfloydiani, e si snoda attraverso l’incedere muscolare di “Bigtime” (forse il pezzo più vicino alle intenzioni dei succitati conterranei Hellacopters), il riff rubato alla penna di Richards e Jagger di “Mother One Track Mind”, una beatlesiana “Midnight Children” che vede ospite nientepopodimenoche Jane Birkin, fino alla conclusiva, orientaleggiante, bellissima “Age Of No Reply”, quasi sette minuti in cui i TSOOL riescono mirabilmente a condensare la loro britishness e a renderla sincera e non derivativa, vibrante e non banale. E arrivati alla fine del disco, si ha subito voglia di rimetterlo daccapo.
Insomma, se la musica è davvero la colonna sonora della vostra vita, questa roba fa assolutamente al caso vostro.


domenica 13 gennaio 2013

Menti libere

Colui che puo' essere definito un eroe del nostro tempo, e come ci ha reso piu' liberi.

Grazie Aaron



martedì 8 gennaio 2013

Forse il Rock'n roll sopravviverà

Una distesa di macerie informi ammassate, un cielo cupo e senza luce ed i resti di quella che e' stata la civiltà umana.
In un angolo di tale scenario post atomico si leva una musica, rabbiosa.
Sarà forse così che il rock and roll sopravviverà anche a noi stessi ?