Bugiardino

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giovedì 14 febbraio 2013

Pelliccias Corner : Feel the Funk Blast

Siamo rocchettari.
Fondamentalmente siamo rocchettari inclini ad esplorare i meandri piu remoti di tutto cio' che possa essere arricchito da un distorsore.
L'ingordigia che ci caratterizza ci spinge a volte oltre, territori inesplorati diventano sovente piacevoli sorprese che ci solleticano le trombe di Eustacchio.
A volte la "sterzata" la si dà a causa di un gruppo che ci mostra la via che porta ad un'altra dimensione musicale, altre avviene in maniera brusca, fulminea, basta magari un pezzo a farti scoprire un intero genere (come nel caso dei Beastie Boys citati da Pelliccia).

Ma fuoco alle polveri, il P. oggi ci parla di hip hop broda !!!

Feel the Funk Blast


Il pezzo di oggi nasce da un paio di riflessioni concatenate senza (apparente) senso logico suggeritemi in questi ultimi giorni dal Grandmaster Traina. Parlando di Rage Against The Machine (feel the funk blast) e ricordando i bei tempi andati in cui facevamo girare i Beastie Boys su quella disastrata Panda con lo stereo non schermato, mi è venuta fuori una straordinaria di voglia di hip hop. Ma non le merdate di adesso – soprattutto quelle del Malpaese – bensì di roba vecchia se non vecchissima addirittura…e così…Afrika Bambaataa, al secolo Kevin Donovan, vero padre di tutta la scena a divenire.
Classe 1957, cresciuto nel Bronx in una famiglia dove l’attivismo per i diritti civili dei neri era di casa, il giovane Kevin si infila ben presto in una delle innumerevoli gangs del posto. Ma invece di fare la fine di uno Snoop Dogg qualunque, il ragazzo usa il cervello e scopre che c’è un’arma infinitamente più potente di ogni pistola; si chiama cultura, si manifesta come musica sotto forma di una smisurata ed eclettica collezione di dischi, generosamente fornita da mammà. Complice un viaggio in Africa, et voilà, Kevin Donovan diventa Afrika Bambaataa, e la sua gang diventa la Universal Zulu Nation, che in breve diventerà la culla del nascente movimento hiphop (a proposito, il termine sembra derivi dallo scimmiottare il passo di marcia dei coetanei di colore arruolati nella US Army…)
Che poi, in realtà, l’hiphop così come era nato era “semplicemente” del buon vecchio funk irrobustito da solide basi elettroniche e da una maniera nuova di cantare il proprio disagio, la propria condizione (altre cose mutuate da un certo funk, a volerla dire tutta – nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma).  Nel suo specifico caso, poi, le basi elettroniche sono frutto di un intelligente lavoro di sampling che va a pescare da mostri quali Yellow Magic Orchestra e Kraftwerk, risuonati in studio e plasmati a proprio uso e consumo.
Non mi avventuro più di tanto nella discografia di Afrika Bambaataa, il che vorrebbe dire inerpicarsi in una giungla di singoli, progetti paralleli (tra cui è però doveroso menzionare il disco “Sun City”, uscito come manifesto anti-apartheid e pieno zeppo di collaborazioni, da Ringo Starr agli U2, da Peter Gabriel a Miles Davis, da Ravi Shankar a Keith Richards) e vecchi e nuovi compagni di avventura; chi volesse approfondire puo’ usare come ottima base di partenza la raccolta “Looking  For The Perfect Beat”, uscita nel 2001 per i tipi della beneamatissima Rhino.
No matter how hard you try, you can’t stop us now.





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