Bugiardino

Leggere attentamente le istruzioni prima di consumare il prodotto.
Non si accettano reclami su casi di indotta diarrea, dolori addominali e affini.
Sconsigliato a soggetti di esile composizione tantrica e rompicoglioni vari.
Tutti gli scritti appartengono al sottoscritto, il quale si prende carico di eventuali ripercussioni.




martedì 26 febbraio 2013

pelliccia's corner : senza vergogna

Senza vergogna.
Un' affermazione che di questi tempi dovrebbe essere molto in voga, e non per quanto riguarda i gusti musicali ma ... tant'è, andiamo oltre.
Mr. P ci propone stasera un gruppaccio dedito al pezzo buca classifiche, il classico rozzo, orecchiabile e sornione rock spavaldo.

E allora cafonaggine sia.



Senza Vergogna


Io l’avevo detto, all’amico blogmastro, “preparati perché a ‘sto giro ho davvero esagerato”. Ed era un bluff, perché non avevo ancora niente di fulminante in mente.  Pensa che ti ripensa, scartabella che ti scartabella, arrivo davanti alla copertina di “Smashes, Trashes and Hits” degli smascherati Kiss anni ’80 e un pensiero mi fulmina la mente: non son certo stati loro i primi “esagerati” nel mondo del rock, e il cattivo gusto in musica non è certo solo appannaggio loro o di gruppi tipo i Darkness, quindi tornando indietro indietro nel tempo, qualcuno ci doveva pur esser stato a “preparare la strada”, per così dire, a un’orda di gruppi più o meno famosi e più meno capaci a far tenere al pubblico le birre in aria per tutta la durata del concerto mentre canta ogni ritornello a squarciagola con fiera, caparbia ignoranza (un po’ quello che succede ai vascomani oggi, con l’aggravante che credono di cantare cose intelligenti…)
Così, quest’oggi, spalanchiamo le porte sui probabili padri putativi di un bel po’ di “ignoranza”.               Ladies and gentlemen, i Bachman-Turner Overdrive.
Canadesi come i loro compatrioti Guess Who - gli autori di “American Woman” - dai quali proviene Randy Bachman, rubano il nome da una rivista di autoarticolati (pensa te) e nel 1973 esordiscono col loro album omonimo, non preoccupandosi minimamente di suonare freschi e/o originali; un occhiolino alle atmosfere latine di Santana con “Blue Collar” – che infatti colpisce nel segno ed entra in classifica – e un orecchio ai riffoni di scuola hardblues, ben esemplificati da un pezzo come “Gimme Your Money Please” che in forma ancora embrionale aveva fruttato loro un contratto con la Mercury Records.  Ma i ragazzi mica dormono sugli allori, e sei mesi dopo se ne escono  con un altro lavoro, e qui davvero sbancano, inanellando una serie di singolacci da alta classifica tipo “You Ain’t Seen Nothing Yet” e “Takin’Care Of Business” , pezzi che fanno la loro bella mostra in qualsiasi compilation rock da autogrill – tanto per rimanere in tema.                 Da qui al 1977, anno del loro scioglimento, i nostri tengono banco al ritmo di un disco l’anno, conquistando regolarmente i piani alti delle classifiche, anche in virtù di brani come “Roll On Down The Highway”, “Hey You”, “Take It Like a Man”, tutti un fiorire di power chords, handclapping e ritornelli a presa ultrarapida, roba decisamente poco complicata e tanto, tanto apprezzata dalle masse rockeggianti di cui sopra.
In realtà, questo è un piccolo test. Se sentendo le canzoni di cui sopra dimostrate un apprezzamento più o meno marcato, ma vi viene subito voglia di ascoltare altro, allora è tutto nella norma, la tamarraggine in musica se assunta in dosi ragionate non ha mai fatto male a nessuno, io per primo sono orgoglioso della mia discografia dei Kiss e di un'altra cinquantina almeno di dischi ad alto tasso di testosterone e a bassissimo tasso di raffinatezza (i miei preferiti, i Grand Funk Railroad, quelli sì che sono uno spettacolo)                         Se invece finite col cercare quelle compilation da autogrill, iniziate a preoccuparvi, e sul serio…


lunedì 18 febbraio 2013

Quanto mi piacciono i Nobraino ...

https://www.youtube.com/watch?v=NVCr9Fj09hA&feature=youtube_gdata_player

Polo Music, il locale che non c'era. Intervista eclusiva a Cesare Arena.

Avete presente crossroads, quel film in cui il mitico Daniel-San di karate kid sfida e smerda con la chitarra alcuni dei piu' grandi al mondo in un locale gremito di gente affamata di musica ?
Roba da film, daccordo, come purtroppo sappiamo la nostra zona non è molto avvezza a sfornare posti che incentivino le persone che suonano o che semplicemente desiderino ascoltare musica live in un contesto ruspante, genuino.
Ma c'è del nuovo all'orizzonte.
Da stasera grazie all'impegno, la costanza e la passione di un uomo, l'amico Cesare Arena,  qualcosa prende forma, un qualcosa che non ha precedenti, perlomeno in zona.
L'idea di base è quella di offrire una sala prove, utilizzabile all'occasione anche come sala per feste, e fin qui tutto nella norma, l'altra parte del progetto, alquanto ambizioso, è quella di integrare un mercatino di strumenti musicali usati e soprattutto creare un circolo (di tesserati ovviamente) dove poter ascoltare e/o suonare musica live.
Questa sera all'inaugurazione noi c'eravamo, ed i presupposti per far sì che l'idea decolli sembrerebbero esserci tutti.

Abbiamo chiesto al buon Cesare quali sono le sue aspettative, qui la breve intervista :







Non ci resta che restare sintonizzati ed augurare il meglio a Cesarone e alla sua impresa.
Go !!!


giovedì 14 febbraio 2013

Pelliccias Corner : Feel the Funk Blast

Siamo rocchettari.
Fondamentalmente siamo rocchettari inclini ad esplorare i meandri piu remoti di tutto cio' che possa essere arricchito da un distorsore.
L'ingordigia che ci caratterizza ci spinge a volte oltre, territori inesplorati diventano sovente piacevoli sorprese che ci solleticano le trombe di Eustacchio.
A volte la "sterzata" la si dà a causa di un gruppo che ci mostra la via che porta ad un'altra dimensione musicale, altre avviene in maniera brusca, fulminea, basta magari un pezzo a farti scoprire un intero genere (come nel caso dei Beastie Boys citati da Pelliccia).

Ma fuoco alle polveri, il P. oggi ci parla di hip hop broda !!!

Feel the Funk Blast


Il pezzo di oggi nasce da un paio di riflessioni concatenate senza (apparente) senso logico suggeritemi in questi ultimi giorni dal Grandmaster Traina. Parlando di Rage Against The Machine (feel the funk blast) e ricordando i bei tempi andati in cui facevamo girare i Beastie Boys su quella disastrata Panda con lo stereo non schermato, mi è venuta fuori una straordinaria di voglia di hip hop. Ma non le merdate di adesso – soprattutto quelle del Malpaese – bensì di roba vecchia se non vecchissima addirittura…e così…Afrika Bambaataa, al secolo Kevin Donovan, vero padre di tutta la scena a divenire.
Classe 1957, cresciuto nel Bronx in una famiglia dove l’attivismo per i diritti civili dei neri era di casa, il giovane Kevin si infila ben presto in una delle innumerevoli gangs del posto. Ma invece di fare la fine di uno Snoop Dogg qualunque, il ragazzo usa il cervello e scopre che c’è un’arma infinitamente più potente di ogni pistola; si chiama cultura, si manifesta come musica sotto forma di una smisurata ed eclettica collezione di dischi, generosamente fornita da mammà. Complice un viaggio in Africa, et voilà, Kevin Donovan diventa Afrika Bambaataa, e la sua gang diventa la Universal Zulu Nation, che in breve diventerà la culla del nascente movimento hiphop (a proposito, il termine sembra derivi dallo scimmiottare il passo di marcia dei coetanei di colore arruolati nella US Army…)
Che poi, in realtà, l’hiphop così come era nato era “semplicemente” del buon vecchio funk irrobustito da solide basi elettroniche e da una maniera nuova di cantare il proprio disagio, la propria condizione (altre cose mutuate da un certo funk, a volerla dire tutta – nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma).  Nel suo specifico caso, poi, le basi elettroniche sono frutto di un intelligente lavoro di sampling che va a pescare da mostri quali Yellow Magic Orchestra e Kraftwerk, risuonati in studio e plasmati a proprio uso e consumo.
Non mi avventuro più di tanto nella discografia di Afrika Bambaataa, il che vorrebbe dire inerpicarsi in una giungla di singoli, progetti paralleli (tra cui è però doveroso menzionare il disco “Sun City”, uscito come manifesto anti-apartheid e pieno zeppo di collaborazioni, da Ringo Starr agli U2, da Peter Gabriel a Miles Davis, da Ravi Shankar a Keith Richards) e vecchi e nuovi compagni di avventura; chi volesse approfondire puo’ usare come ottima base di partenza la raccolta “Looking  For The Perfect Beat”, uscita nel 2001 per i tipi della beneamatissima Rhino.
No matter how hard you try, you can’t stop us now.





Days of gigioneries : Tino e il Tablet

Una bella risata, come provato da fior fior di scienziati migliora la qualità della vita.
A volte non bisogna neanche andare a cercarla, è lei che trova noi, dobbiamo fare solo in modo di essere con i personaggi giusti nel luogo e nel momento giusto.
E modestamente, il sottoscritto è un maestro in tale arte.
Il buon Tino, idraulico in pensione e amico di svariate battaglie, ci mostra la sua innata dote si saper utilizzare un tablet.
Questa è la vita che amo, queste sono le cose che mi rendono ricco.
E non scherzo.






domenica 10 febbraio 2013

mi ricorda qualcuno, qualcun'altro che vorrebbe essere eterno ...


gioielli dal passato : Operazione San Gennaro

Ogni tanto mi piace scovare qualche vecchio film in bianco e nero da rispolverare o scoprire, sul tubo ce ne sono a bizzeffe, completi.
Ieri sera mi sono sparato il film in oggetto.
Totò e Nino Manfredi, rispettivamente Don Vincenzo, un attempato e rispettato boss locale e Dudu'. un rampante fuorilegge.
Una spedizione di Americani si mette in testa di rubare il tesoro di San Gennaro e chiede a don Vincenzo, al gabbio, personale sul posto per effettuare il colpo.
Una commedia vivace e molto piacevole, ricca di quell'ingenua comicità che oggi è merce rara.

Io gli dò un 7+.


mercoledì 6 febbraio 2013

Pelliccia's corner : quel ramo del Mississipi

Bettole fumose, combattimenti di galli e bische clandestine, questa è l'atmosfera in cui ci si proietta questa sera qui al Pelliccia's.
Il Blues, per certi versi genesi del rock and roll, il punto da cui parti' l'evoluzione della musica moderna, raccontato in uno dei tantissimi artisti che lo resero tale.

Let my Mojo Working.


Non sparate sul pianista…o il pianista vi prenderà a pugni
Bentornati e bentornate, se state leggendo queste righe significa che le puntate precedenti di questo jukebox virtuale fatto di tante parole e tanta musica un pochino vi aggrada…e allora, mettiamo alla prova il vostro palato con una pietanza semplice ma ricca di sapori.                                                                                                                                                                          Questa volta si parla di un bluesman forse poco conosciuto ma parecchio interessante, uno di quelli che incarna lo stereotipo della vita rocambolesca che ogni giorno ti regala almeno un aneddoto o una disavventura da cui tirare fuori una canzone. Signore e signori, “Champion” Jack Dupree.
Jack nasce a New Orleans, a luglio. Il giorno e l’anno non sono sicuri, diciamo tra il 1908 e il 1910, siamo però sicuri del fatto che a due anni finisce nello stesso orfanotrofio dove capitò pure il signor Louis Armstrong…sarà che per un nero in quegli anni vivere non era certo una passeggiata in un giardino di rose, sarà che il diavolo se esiste sta di casa a New Orleans e ti insegna a suonare uno strumento e a fare del blues, fatto sta che il nostro Jack impara a suonare il piano, e comincia a esibirsi nelle bettole più malfamate, riuscendo a guadagnarsi un buon seguito  grazie a uno stile sobrio ed essenziale; un pianista di certo non virtuoso, ma dannatamente coinvolgente.                                                                                                                   Lasciata New Orleans si trasferisce prima a Chicago e poi a Detroit, dove per non farsi mancare niente si lancia nel mondo della boxe, diventando un discreto pugile (qui gli verrà affibbiato il soprannome “Champion” grazie ai numerosi incontri vinti)e registrando le sue prime cose, tra cui il fortunatissimo “Walkin’ Blues”, e dopo aver fatto il cuoco nell’esercito yankee, durante il secondo conflitto mondiale, si trasferisce in Europa, lavorando come cuoco specializzato nella cucina creola di New Orleans e spostandosi fra Inghilterra, Svezia, Danimarca, Svizzera e Germania, registrando i suoi pezzi con gente del calibro di Tony McPhee, The Band, Mick Taylor, John Mayall ed Eric Clapton e continuando a suonare fino al 1992, anno in cui è morto.
Champion Jack Dupree, dicevamo sopra, non era certo un funambolo come Jerry Lee Lewis,ma ci sapeva fare eccome al piano; spiccato senso del ritmo, sempre in bilico fra blues e boogie, più incline a usare lo strumento non come farebbe una primadonna desiderosa di attirarsi addosso i riflettori, ma piuttosto come fosse un tavolo sul quale servire le “solite” storie di prigione, droga, fatti di sangue, donne ben lontane dall’essere esempi di virginale purezza che fanno perdere il senno, …insomma, l’armamentario di ogni bluesman che si rispetti, cantato però con una voce pulita e misurata come di rado si sentiva in quel periodo; per farvi un’idea più precisa, sentitevi Mean Ole Frisco, Mr.Dupree Blues, Shake Baby Shake, Junker’s Blues, Big Leg Emma’s, Shake Dupree Dance.
E ora, immaginatevi in una fumosa “barrelhouse”, carte in mano, una splendida pupa (o un fascinoso mascalzone) al vostro fianco, una bottiglia di whisky di contrabbando sul tavolo…e in angolo, il pugile, il pianista, il cantastorie, il ragazzino della piantagione, il cuoco, il bluesman. Tutti a battere il piede a tempo, tutti a cantare la propria incredibile vita attorno al piano di Champion Jack.



venerdì 1 febbraio 2013

Menu del giorno

Stasera lo chef consiglia :
Gnocchetti di patate con asparagi e pomodoro
Filetto burro e salvia con patate
Lesse
Buon Appetito.