Bugiardino

Leggere attentamente le istruzioni prima di consumare il prodotto.
Non si accettano reclami su casi di indotta diarrea, dolori addominali e affini.
Sconsigliato a soggetti di esile composizione tantrica e rompicoglioni vari.
Tutti gli scritti appartengono al sottoscritto, il quale si prende carico di eventuali ripercussioni.




lunedì 24 dicembre 2012

Il mio regalo di Natale

Ciao energumeni,

come ogni anno arriva il Natale, e come ogni volta ci si scambia dei doni.

Questo è il regalo che dedico a tutti coloro che nell'arco di questo primo anno di vita di Macello sono passati

per una visita, un occhiata, un commento.

Grazie.




domenica 23 dicembre 2012

Pelliccia's corner (letsfallinlovewithmusic) : I migliori del 2012

Come ogni testata che si rispetti (in senso letterale), anche qui su Macello abbiamo la nostra classifica di fine anno.
Quali sono i dischi che negli ultimi 12 mesi vi hanno lasciando un segno, anche con le forbici mentre li spacchettavate ?
Mister P ha stilato la sua personale classifica (che a grandi linee condivide anche il sottoscritto, tralasciando la bocciatura dei Muse) e ce la dona in questo clima di festività che a molti, diciamolo, rompe i cabasisi.

It's the final countdown


Dunque, non poteva non arrivare il momento della classifica di fine anno, i dieci dischi migliori del 2012 (i peggiori dell’anno, assolutamente e purtroppo, l’ultimo Soundgarden e l’ultimo Muse)                                    Per ogni disco, come sempre qui sopra, ci sarà un piccolo video allegato (quindi quest’oggi un diluvio di video!)  Scelta ardua e terribile, individuare la reginetta in mezzo a cotanta beltà… ma la palma di miglior disco del 2012, nonostante non sia il mio genere di elezione, va ai Converge, freschi di stampa a Ottobre con “All We Love We Leave Behind”, edito dalla Epitaph. Il perché è presto detto. Perché è un disco DEVASTANTE. Il classico pugno di ferro in un guanto di velluto di “Aimless Arrow”,  la furia belluina di “Sparrow’s Fall”, l’incedere melmoso e circolare di “Sadness Comes Home” che si trasforma in un diluvio di heavy metal mutante. L’hardcore evoluto, il metal in ogni sua possibile declinazione con gli Slayer sempre nel mirino, mille altre cose fatte detonare con una furia disumana (come disumana è la sezione ritmica del disco, millimetricamente chirurgica nel suo essere una scheggia impazzita), i Converge dal  1990 rimangono oggettivamente superiori a qualsiasi altra band si voglia cimentare sullo stesso terreno.     (qui inserisci il link dei Converge)                                        
 Ora, i restanti dischi non saranno in ordine di gradimento, perché per me sono tutti parimenti belli; per cui, l’ordine sarà rigorosamente cronologico, indicando autore, titolo ed etichetta, e aggiungendo una piccola postilla al perché della mia scelta. Sit down, relax, enjoy.
Prinzhorn Dance School – Clay Class (DFA) perchè esclusi i Velvet Underground e i Low, nessun altro è riuscito a esprimere così tanto con così poco.  
Motorpsycho – The Death Defying Unicorn (Stickman) perché infilano in un disco solo jazz, classica, prog, hard rock, folk con tecnica cristallina e una musicalità ineccepibile. Altro che le menate dei Dream Theater.
Jack White – Blunderbuss (XL) perché anche se il disco non è perfetto, se si è anche solo minimamente interessati a una faccenda chiamata rock’n’roll non si può non considerarlo un fuoriclasse.
Fanfarlo – Rooms Filled With Lights (Canvasback) perchè nel loro pop orchestrale, perfetto senza suonare artificioso, c’è così tanto materiale che molti loro colleghi ci scriverebbero un’intera discografia.
Sigur Ros – Valtari (EMI) perché è una valanga al rallentatore filmata con una vecchia pellicola, in bianco nero, o un paesaggio immortalato in una foto color seppia…la nostalgia in musica.
Patti Smith – Banga (Sony) perché la signora ha una sensibilità artistica rara e a distanza di tanti anni è ancora un pozzo senza fondo di emozioni e riflessioni.
XX – Coexist (XL) perché pur giovanissimi, hanno una personalità tale che snobbarli sarebbe un imperdonabile errore.
Beth Orton – Sugaring Season (Anti) perché giunge al tuo cuore in punta di piedi, e album dopo album diventa un bisogno insostituibile quello di (ri)scoprire le sue canzoni.
Godspeed You! Black Emperor – Allelujah! Don’t Bend! Ascend! (Constellation) perchè in 4 canzoni e 55 minuti ti regalano un viaggio verso l’infinito e oltre.

That’s all, folks. Ci rivediamo nel 2013.




martedì 18 dicembre 2012

Pelliccia's corner (letsfallinlovewithmusic) : In punk we trust.

Grazie.
Desidero pubblicamente ringraziare Pelliccia per la segnalazione odierna.
Questa è roba bollente cari amici, passata in seconda linea nelle classifiche dell'epoca forse perchè piu' adatta ad orecchie "diversamente ricettive" rispetto alla norma e perchè no, forse piu' adatte a sanguinare.

Vai col pezzo.


POP IN PUNK CLOTHES
Rieccomi qui, rieccomi a parlare del punk minore. Sarà perché ormai conoscete vita morte e miracoli di Nevermind The Bollocks e London Calling, sarà perché avete già in casa tutti i dischi di Green Day, NOFX e Rancid, sarà perché io sono un topo da archivio e rifuggo l’ovvio come il diavolo rifugge l’acquasanta, ma a ben cercare fra la pletora di dischi delle cosiddette “seconde linee” si trovano davvero dei piccoli classici.
E’ il caso di “Can’t Stand The Rezillos” degli scozzesi Rezillos, uscito nel 1978 per la Sire.
I Rezillos nascono nel 1976 ad opera di Eugene Reynolds e Fay Fife, a cui si aggiungono Jo Callis alla chitarra, William Mysterious al basso e Angel Pattinson alla batteria. Caratteristica peculiare della band è il sound squisitamente in bilico fra punk, new wave e reminiscenze ‘50s (chiarissime nel rifframa delle chitarre), il tutto unito a un’immagine equidistante sia dal propotipo del punk straccione, sia da quello del seriosissimo new waver, ma molto più vicina a un immaginario “camp/teen” da filmetto b-movie.                                        Il solito apprendistato a base di live infuocati e di singoli al fulmicotone, e un paio di anni dopo arriva l’esordio, Can’t Stand The Rezillos, una vera fucilata, anzi una serie di 13 fucilate che non lasciano scampo alcuno all’ascoltatore.                                                                                                                                                                    Si parte con Flying Saucer Attack e fino alla fine del disco è un susseguirsi di ritmi veloci e serrati, schitarrate a rotta di collo, handclapping studiati per far impazzire il pubblico sotto il palco (datevi un’ascoltata a My Baby Does Good Sculptures e capirete di cosa sto parlando), dieci composizioni originali e una tripletta di covers (Gerry & The Pacemakers, Dave Clark Five, Fleetwood Mac) che tradiscono il malcelato amore del gruppo per i favolosi anni ’60; l’ultima in oggetto, Somebody’s Gonna Get Their Head Kicked In Tonight, è pure finita a fare da colonna sonora alle “imprese” di quegli sciroccati di “Jackass”  - cosa che ha permesso al gruppo di guadagnarsi un posto nelle preferenze dei giovani pischelli di oggi.
Fiamme altissime ma un fuoco che brucia subito, quindi inevitabile lo scioglimento appena un anno dopo, come da migliore tradizione punk.                                                                                                                                                                    Se i Rezillos hanno continuato per un paio di anni senza molto successo, i Revillos di Reynolds e Fife hanno imperversato per tutti gli ’80 e metà ’90 con dischi tutto sommato gradevoli; poi, nel 2001, il ritorno dei Rezillos in formazione (quasi) originaria, rimpiazzando Callis con Jim Brady e Mysterious con Chris Agnew (figlio d’arte, il papà Pete suonava il basso nei Nazareth di settantiana rockettara memoria) e incidendo addirittura un nuovo brano, Number One Boy.
Che dire, se non…correte a cercarvi questa piccola pietra miliare!







venerdì 7 dicembre 2012

Pelliccia's corner (letsfallinlovewithmusic) : Quello che spacca.

Proprio quel disco, quello che metti su quando vuoi spaccare il culo anche alle mosche, è di lui, o meglio del suo che ci parla Mister P questa sera.

Chèvvelodicoaffà.

Rumore Bianco

Probabilmente ognuno di voi, nel novero dei suoi dischi preferiti, ha una sorta di catalogo: il disco per una cenetta romantica, il disco per quando si vuole stare da soli coi propri pensieri, il disco per fare le pulizie di casa (i malati hanno anche questa catalogazione. Il mio? James Brown, “Sex Machine”) etc.etc. Ovviamente in questa speciale classifica non può mancare “il disco da mettere su quando hai voglia di spaccare tutto”, che nel mio caso è, decisamente, “Kick Out The Jams” dei sottovalutatissimi, imprescindibili MC5, gruppo che ha aperto la strada a colonne come gli Stooges, per dirne una.
Tanto per iniziare, considerate che per chi scrive questo è il secondo miglior disco live della storia del rock tutto (il primo è ovviamente “Live at Leeds” degli Who) ed è anche il disco di debutto per questa formazione americana, nata nel 1964 per volere dei due chitarristi terribili Fred “Sonic” Smith e Wayne Kramer e che potremmo definire “punk prima del punk”. Certo, musicalmente gli MC5 son riconducibili ad altro, una specie di garage rock psichedelico imbevuto di blues e r’n’r (!), influenzato tanto dal surf caciarone di Dick Dale quanto dal blues primitivo di Bo Diddley e dalle atmosfere spaziali di Sun Ra…ma quello che li porta ad essere considerati degli antesignani del punk è più che altro l’atteggiamento: nichilista e distruttivo (il gruppo esordì nel 1969 e nel 1972 si sciolse minato dagli abusi di tutti e cinque i componenti, dei veri losers come li avrebbe cantati più tardi Johnny Thunders) ma nel contempo carico di quella rabbia e di quel desiderio di cambiamento che l’epoca richiedeva (gli MC5 sono diventati famosi anche per la loro amicizia con le sovversive White Panthers, sorta di gruppo bianco di appoggio alle Black Panthers nato a Detroit e capeggiato dallo spiritato anticapitalista Jason Sinclair). Ma lasciamo da parte i retroscena politici e torniamo al nostro esplosivo padellone….
Registrato in due notti al Detroit Grande Ballroom nel 1969, gli MC5 concretizzano la fama crescente che i loro infuocati live acts stavano guadagnando; non un secondo di cedimento, anche nelle parti più ipnotiche e rallentate la tensione è tale che è impossibile stare fermi o lasciarsi andare. L’inizio con la cover della misconosciuta “Ramblin’Rose” è un pugno nello stomaco di dimensioni inusitate, così come lo è “Rocket Reducer No.62 (Rama Lama Fa Fa Fa)”, un delirio rumoristico di quasi sei minuti; se nell’infinita rivisitazione di “Motor City Is Burning” il cantante Rob Tyner risveglia le coscienze degli astanti celebrando le Black Panthers, nella conclusiva “Starship” si va a citare una delle poesie di Sun Ra (per Smith e Kramer una vera ossessione, soprattutto in virtù dell’approccio free jazz del loro chitarrista Sonny Sharrock). Ma la vera perla del disco, la summa di sessant’anni di storia del rock e di schitarrate mimate davanti allo specchio da parte dei rockers di tutto il mondo, è la seconda canzone del disco, quella “Kick Out The Jams” che ogni rockband del pianeta ha suonato almeno una volta nella vita; tre minuti di pura gioia, “it’s time to kick out the jams, motherfuckers” ed è impossibile capirci qualcosa o descrivere quello che si prova. Il manifesto programmatico di chi nella sua vita non può vedersi se non sul palco, dietro al microfono o con uno strumento appeso al collo o a pestare dietro le pelli, forse, rende bene l’idea. That’s rock, folks.


lunedì 3 dicembre 2012

Un triste lieto epilogo.

Ci sono canzoni che pur avendo un significato ben preciso per coloro che le scrivono, si prestano a chiavi di lettura soggettive, interpretate da coloro che le ascoltano.
In periodi come quello che stiamo vivendo, la mancanza di un barlume di luce, di una speranza, è la cosa che forse inconsciamente le persone sopportano di meno.
Ci sono quindi figure, scritti e canzoni appunto ai quali aggrapparsi cercando conforto.
E la seguente per mè è uno di quei appigli, mi piace vedere il terribile cavaliere morente descritto nel testo come il sistema che ci opprime, conscio del fatto che la sua egemonia è giunta al capolinea.
Forse è un modo un pò fiabesco e di "sinistra" di vedere le cose, ma il mio ragionamento non vuole essere quello del ventenne con la foto del Che in camera che ostenta il pugno chiuso, ho avuto anch'io i vent'anni, il mio modo di vederla è frutto di  un'analisi pacata, da padre di famiglia che ormai conosce le meccaniche del "mondo degli adulti", e desidererebbe vederle cambiare.


Cavalli corpi e lance rotte 

si tingono di rosso, 

lamenti di persone che muoiono da sole 

senza un Cristo che sia là. 
Pupille enormi volte al sole 

la polvere e la sete 

l'affanno della morte lo senti sempre addosso 

anche se non saprai perchè. 


Requiescant in pace. Requiescant in pace. 

Requiescant in pace. Requiescant in pace. 


Su cumuli di carni morte 

hai eretto la tua gloria 

ma il sangue che hai versato su te è ricaduto 
la tua guerra è finita 

vecchio soldato. 


Ora si è seduto il vento 

il tuo sguardo è rimasto appeso al cielo 
sugli occhi c'è il sole 

nel petto ti resta un pugnale 
e tu no, non scaglierai mai più 

la tua lancia per ferire l'orizzonte 
per spingerti al di là 

per scoprire ciò che solo Iddio sa 
ma di te resterà soltanto 

il dolore, il pianto che tu hai regalato 
per spingerti al di là 

per scoprire ciò che solo Iddio sa. 


Per spingerti al di là, 

per scoprire ciò che solo Iddio sa..



domenica 2 dicembre 2012

Esticazzi ???


Pelliccia's corner (letsfallinlovewithmusic) : Rastafariano a chi ?

Uomo dalle mille sfaccettature, il Pelliccia stasera ci parla di cio' che la maggior parte della gente stereotipando il genere abbina  a Jamaica, cannazze e capelle longhe (cit).

Il Reggae, musica fortemente intrisa di significati scocio-culturali, va' oltre il leggendario Bob Marley, se non ci credete proseguite nella lettura.

Vai Pelliccia, nel nome di Jah.


Natty Dread
(parentesi doverosa: quello che sta sul mio disco fisso lo trovate anche sui miei scaffali, solo che pescare random dal mio disco fisso è più divertente che scegliere scorrendo e scorrendo e scorrendo….)
Rubo il titolo di una canzone del signor Robert Marley in arte come Dylan per poter parlare un po’ di reggae.  Reggae? Cioè tu ascolti musica reggae? Ebbene sì, faccio outing.                                                Nonostante la dancehall e robe similari continuano a farmi abbondantemente cagare e nonostante io fatichi a trovare qualcosa di vagamente decente ed ascoltabile in gruppi tipo i Sud Sound System, a cavallo fra metà anni ’70 e primissimi anni ’80 si può trovare un sacco di roba interessante; innanzitutto musica suonata (coi controcazzi, pure) e non basi buone manco per farci il karaoke…in secondo luogo, voci degne di nome, non lamenti monocordi tutti uguali (cioè, ditemi come si fa a riconoscere Buju Banton da Capleton, per dire) e cosa più importante, niente sessuomani omofobi con la sindrome della big gun a scrivere chilometri di liriche su chi ha il bastone più lungo e desiderato, ma cervelli pensanti, che usano il reggae come veicolo per esprimere la rabbia e il malcontento della povera gente, la frustrazione e il desiderio di rivalsa della minoranza Rasta, ma anche un sacco di fumose “good vibes”, cose molto fricchettone tipo pace amore e fratellanza…un po’ come alcuni illuminati punk nel ’77 ma con moooolto meno nichilismo, ecco, eheh.
Tra i tanti degni di nota che NON sono SOLO Marley o Tosh, legalize don’t criticize it no uoman no crai, ce n’è uno con una voce spaventevolmente bella che si chiama Cornel Campbell – auguri a lui che il 23 novembre scorso ha compiuto 67 anni. Il rastaman in questione esordisce alla tenera età di 11 anni e dopo un inizio in sordina con gruppi vocali di scarsa fortuna, a fine anni ’60 comincia ad azzeccare una serie di singoli come “Queen of the Minstrel” e “Stars”. Arriva così negli anni ’70 il primo disco come solista,omonimo, e inizia in quegli anni un lungo sodalizio col produttore Bunny Lee. Risultato? Una decade costellata di singoli di successo, come “Natty Dread In A Greenwich Farm”, “Dance In a Greenwich Farm”, “Gorgon”, “Press Along Natty” , e dischi riuscitissimi, il cui vertice è forse “Fight Against Corruption” del 1983. Testi profondi ed ispiratissimi e una schiera di musicisti di prim’ordine a collaborare (Sly e Robbie – vale a dire la sezione ritmica del 90% dei dischi reggae – e un bel po’ di Wailers di contorno), roots reggae di quello buono che si ascolta volentieri come contorno alla tripletta “divano-sigaretta-libro e/o giornale”. Ideale introduzione al mondo di questo fuoriclasse della musica in levare è “Original Blue Recordings 1970 – 1979”, disco di non facilissima reperibilità ma che val la pena sbattersi un po’ a cercare…




n.d.r. Anche costui merita comunque di essere menzionato



giovedì 29 novembre 2012

Primarie PD : Chi ha l' X Tractor ?


Ovvero, chi manderesti a zappare la terra arsa dei campi sconfinati della steppa Siberiana ?

Secondo me il giovanotto ha il potenziale, braccia piu' forti e schiena piu' dritta ... ma come negare al Matusa un bel soggiorno nella tanto amata terra Sovietica ???

Tra l'altro, sapete come funziona il televoto ?


Dansvidania.

Jump in The Sun


Perugia, 21 settembre 2012

venerdì 23 novembre 2012

Pelliccia's corner : Punk d'autore

Eccoci qui,
il buon Pelliccia ci parlerà questa settimana (pescando in maniera random dal suo disco fisso come al solito) di una corrente tanto rabbiosa quanto breve, che impazzò nella seconda metà della decade dei seventies :
il Punk.
Tutt'altro che dimenticato nei giorni nostri, il punk ebbe durante gli anni suddetti un'esplosione che travolse letteralmente l'universo musicale e non solo, divenendo una vera e propria subcultura che racchiudeva in se' diverse forme d'arte.
La band oggetto della disamina odierna è una delle diverse sfaccettature che tale onda creativa riuscì a generare.
La parola a colui che porta il nome della rubrica quindi, e che non si azzardi piu' a definire i Roxy Music di Bryan Ferry mollaccioni effemminati.




Germ Free Punk


Si può dire che l’inizio della storia di ogni punk band nata a Londra e dintorni nel 1977 sia “c’era una volta, ad un concerto dei Sex Pistols…” e questo vale soprattutto per i gruppi minori, per quelle seconde schiere che han prodotto, nel breve lasso di tempo che va dal ’77 al ’79, tanta di quella buona musica da non sfigurare assolutamente al cospetto di nomi ben più blasonati come Clash, Buzzcocks o Jam.  Tra di loro si possono sicuramente citare gli X-Ray Spex di Poly Styrene (vero nome Marion Elliot), uno dei gruppi meno allineati e più interessanti di quel fantastico biennio.
Gli X-Ray Spex, infatti, sono un gruppo punk atipico all’interno della scena; vuoi perché hanno una cantante – felice novità in un ambiente dove le presenze femminili si contano sulle dita di una mano – che ha una presenza scenica decisamente “di rottura”, niente creste spille e lucchetti per Poly, ma vestiti fluorescenti e un vistoso apparecchio ai denti, un look che stupì lo stesso Johnny Rotten  -  vuoi perché il sax di Glyn John, spesso lanciato in svisate degne dei migliori Roxy Music (orrore! un gruppo punk che si rifà a quegli effeminati mollaccioni!) ricopre un ruolo essenziale nell’economia sonora del gruppo. In pratica, hanno portato l’abrasività del punk, l’immediatezza del pop e la glacialità della new wave a braccetto, in un connubio dal potenziale commerciale ahimè mai sviluppato appieno.
Dopo la consueta pioggia di singoli e un paio di anni di gavetta nei locali londinesi e, arriva il disco, Germ Free Adolescents, uscito nel 1978; sebbene riunisca i singoli usciti fino a quel momento – le bizzarre architetture wave di “The Day The World Turned Dayglo” e “Warrior in Woolworths”, gli inni “Let’s Submerge” e “Oh Bondage! Up Yours” (in pratica, le riot grrrls con 10 anni buoni di anticipo), gli incisivi quadretti punk di “Identity” e “I Am A Poseur” e le personalissime visioni di “I Live Off You” e Obsessed With You” –  il lavoro passa quasi inosservato, colpa forse della troppa carne al fuoco servita con allegra eresia, un miscuglio che non trova, fra i giovani,arrabbiati,settari e inquadrati punksters londinesi terreno fertile.
Nell’agosto del 1979 l’ultimo singolo, “Highly Inflammable”, che fa calare il palcoscenico su questa promettente ma sfortunata band. Poly Styrene, pubblicherà un paio di dischi in bilico fra jazz e new age, attratta nel corso degli anni da sonorità più intimiste ed acustiche; instancabile attivista per i diritti delle donne, anticapitalista convinta, nel 2011 ha perso la sua unica battaglia, contro un maledetto mostro che pochi anni prima si era portato via il chitarrista Jak Airport…
Eterni adolescenti, loro, mai infettati da quelle tossine chiamate “regole”, tanto nel mondo chiuso del punk quanto nella vita vera.                                                                                                                                                                                    “I’m not a clichè”, cantavano.                                                                                                                                                   Niente di più vero, per nostra fortuna.

Quale girello?

Published with Blogger-droid v2.0.8

mercoledì 21 novembre 2012

La fiera del mashup

Daccordo, non scomodiamo i capisaldi.
Ma la tecnica del "mashup" musicale, ovvero fondere insieme due canzoni compatibili a volte dà risultati molto simpatici.

Come questo ad esempio :



Stasera non ho un cazzo da fare.

sabato 17 novembre 2012

MattRach : ricordatevi questo nome.

Perchè questo Francesino di 17 anni è veramente un mostro.
Tecnica spaventosa e una fantasia sconfinata, il tipo ha un potenziale enorme.
Sempre ammesso che non si bruci prima.

Il nuovo che avanza, da ascoltare.


Tips and tricks : come non farsi incul@re la wi fi

Da mooolto tempo, il mio pc andava mooolto lento aprendo le pagine del browser, soprattutto quelle con contenuti multimediali (youtube in primis).
Essendo io una persona decisamente pigra in ambito computeristico, o perlomeno essendola divenuta con gli anni, me ne catafottevo allegramente del problema ed andavo avanti.
Questo fino ad oggi.
Preso da un raptus sterminatore, entro nella pagina di configurazione del router e mi accorgo che cinque o sei dispositivi non facenti parte della mia rete pascolano bellamente indisturbati nel mio "recinto", cosa che sospettavo da tempo.
Ormai anche il piu' impedito degli utenti conosce i famosi programmini che "sniffano" le password di accesso wi fi permettendoti di entrare senza problemi, software che fungono alla perfezione con password di serie dei router.
Nel caso in cui, anche voi vi accorgeste di tale problema, vi basterà cambiare la password con una di fantasia e zack! via gli intrusi.
Ora, la condivisone della connessione la ritengo una cosa intelligente, pensate ad un condominio con venti appartamenti,dei quali almeno la metà hanno una connessione adsl.
Non è uno spreco ?
Basterebbe accordarsi fra condomini, fare un abbonamento unico e suddividere le quote di iscrizione in parti uguali, ma purtroppo nella stragrande maggioranza dei casi così non è.
Intanto io mi sono tagliato i vicini, che non solo non partecipavano alle spese, ma neanche si sono degnati di bussare chiedendo permesso ...

Ah ah !!! (citando Nelson, personaggio Simpsoniano con tanto di dito puntato.)

venerdì 16 novembre 2012

Frida : I know there's Something going on

Hai capito Frida.

La cantante rossa degli  Abba, intraprese nel 1982 la carriera solista esordendo con questo pezzo, scritto e prodotto per lei da nientepopòdimeno che da sir.Phil Collins (e si sente).
Pop, indubbiamente, ma influenzato da sonorità vicine all'hair metal che impazzava all'epoca.
Una perla, e se vò dico io ...




giovedì 15 novembre 2012

Pelliccia's corner : Buffalo Tom, Il Bisonte dal cuore d'oro.

Si parla di nineties oggi.
Un gruppo che forse non tutti ricorderanno, i Buffalo  Tom, che nel travagliato (musicalmente) decennio in oggetto ha saputo ritagliarsi un posticino nei cuori e nella memoria di molti.
Ce li racconta, con la solita preparazione il buon Pelliccia.
E sia.

IL BISONTE DAL CUORE D’ORO

Secondo appuntamento con il Pelliccia’s corner, e siccome nella presentazione che ha fatto di me il buon Davide figurano prepotentemente gli anni ’90, cominciamo a parlarne un po’…evitando per ora di menzionare i soliti nomi stranoti (che tanto prima o poi vi toccherà leggerne comunque, ci manca ancora che io non parli in futuro di Pearl Jam, Alice In Chains, Nirvana, Stone Temple Pilots, Soundgarden, etc.etc.etc. ), riflettori puntati su un classico minore del rock americano di quella fantastica, irripetibile decade fra metà anni 80 e metà anni ’90, ovvero “Sleepy Eyed” dei Buffalo Tom.
Nati ad Amherst, Massachusetts, nel 1986, i BT di Bill Janovitz arriveranno al primo disco nel 1989, sotto l’ala protettrice del figlio più illustre della sopracitata cittadina, quel J Mascis che coi Dinosaur Jr ha codificato in maniera innegabile l’alternative rock degli anni a venire, gettando anche i semi di quello che si sarebbe chiamato “grunge”. Il disco, omonimo, è invero piuttosto monocorde e derivativo, così come il secondo lavoro, Birdbrain, uscito appena un anno dopo, sebbene qualche sprazzo di melodia un po’ più ragionata cominci a farsi largo fra i solchi (insomma, la stessa identica traiettoria dei Dinosaur Jr). La svolta arriva (ma va?!) nel 1992, dopo il ciclone Nirvana tutti si accorgono che è possibile coniugare furia cieca e aperture melodiche e dunque ci provano anche i Buffalo Tom, forti di una vena compositiva non comune. Nel giro di due album, “Let Me Come Over” e “Big Red Letter Day”, la band di Amherst fa il suo ingresso nei piani alti delle classifiche alternative, rimanendo pregevolmente in bilico fra rumorismi e sensibilità pop, fra la musica delle radici americana e le reminiscenze underground degli esordi.
“Sleepy Eyed”, uscito nel 1995, è il vertice compositivo della band, un disco senza cedimenti, dove accanto alle staffilate rock di Tangerine e Your Stripes emerge anche un inedito lato cantautorale di Janovitz, evidente in alcune (agro)dolci ballate elettroacustiche come Kitchen Door o Twenty-Points. Ma la perla nascosta del disco è Summer, una canzone che esemplifica al meglio quel sound così peculiare, so ‘90s potremmo dire, batteria in bella evidenza, le chitarre che ora si svuotano con arpeggi rarefatti e poi arrivano impetuose a travolgerti orecchie, cuore e stomaco.
Dei Buffalo Tom poi si perderà notizia, fra dischi non esaltanti e ritorni sulle scene non propriamente entusiasmanti – ma quello che conta è la manciata di dischi che ci hanno lasciato prima. Eh no, musica così al giorno d’oggi non ne fanno più....


sabato 10 novembre 2012

Jack White, il tono che graffia

Il ragazzo è un fenomeno.
Non sarà sicuramente la scoperta dell'acqua calda, ma a mio avviso la chitarra dell'individuo in questione è una delle piu' interessanti, se non la piu' interessante del panorama rocchettaro.
Il buon Jack è andato oltre al mega hit Popopopopopoooooooooopo, ed ha saputo a suon di compressori e whammy imporsi con uno stile tutto suo, pregio non da tutti.
La classica chitarra che riconosceresti dopo una sola nota anche bendato, con l'otite e  nel mezzo di una megalopoli durante l'ora di punta.

Vai Jack.


giovedì 8 novembre 2012

Space Rock Baby !!!


Nuova rubrica settimanale : Pelliccia's Corner

Ciao a tutti lingere.

Quest'oggi, dopo un lavoro di mediazione durato mesi, sono orgoglioso di presentare una nuova rubrica, presentata qui su Macelloindustriale da un vecchio amico chiamato Matteo.
Il "Pelliccia", al secolo Matteo Pelissero, è persona molto ferrata in ambito musicale, nonchè animo ricco di spirito e giovialità, con cui il sottoscritto ha passato momenti che rimarranno scolpiti nella memoria, attimi spensierati e felici all'insegna del cazzeggio imperante.

"Chitarrista di nascita, cantante per vocazione, bassista e batterista per 

curiosità", 

così ama definirsi il Pelliccia, attualmente cantante della formazione "Lowlight" (tributo ai Pearl Jam), ed allo stesso tempo bassista dei "La costante K", gruppo rock sperimentale, fà parte inoltre del direttivo Arci Brixton ricoprendo il ruolo di responsabile del settore musica.

Indica la chitarra di Slash come la principale causa del suo innamoramento alle sei corde, e come il sottoscritto, ha vissuto intensamente gli anni del grunge che lo hanno segnato sulla pelle in maniera indelebile.

Ma bando alle ciance, partiamo quindi con la prima puntata di questo viaggio all'interno dell'universo delle sette note accompagnati da un cicerone d'eccezione, che personalmente ringrazio per avere accettato la mia proposta, aiutandomi ad espandere il microcosmo culturale fatto di cose piu o meno serie che piano piano cerco di imbastire.

Grazie Pelliccia.

Episodio 1 : It’s Easy To Fall In Love (with a band like yours)

Hooray! Primo appuntamento con questa rubrichetta, che intende guidare chi legge queste righe alla scoperta (o riscoperta) di un gruppo, di un album, o anche di una singola canzone, che proprio non meritano neanche un dito di polvere nello scaffale della memoria. Tutto questo senza un filo conduttore che non sia il mio amore per le sette note, cosa che mi porta ad ascoltare veramente di tutto e che porterà voi che leggete a fare altrettanto, si spera.                                                                      Ovviamente, grazie a Davide che ha avuto la pazienza di pressarmi e convincermi, he knows.  Bene, spulciando la mia collezione di Cd e vinili, mi gioco per questo esordio la carta Martha & The Vandellas. E chi sono costoro, direte voi?
Trattasi di un trio vocale femminile incredibile che in un solo decennio, fra 1962 e 1972, ha mandato in classifica una vagonata di singoli, diventando una delle stelle più luminose del firmamento Motown e arrivando ad essere seconde solo alle Supremes di Diana Ross                      (sì, proprio loro) in fatto di popolarità.                                                                                                                 Talmente popolari che il mondo del Pop e del Rock, anche quello più duro, ha spesso saccheggiato il loro catalogo. Basti pensare agli Who che nel 1967 su “The Who Sell Out” riprendono magnificamente (Love Is Like A) Heatwave, oppure a uno dei cavalli di battaglia del Soul-Pop di Detroit tutto, quella Dancing In The Streets scritta per loro da Marvin Gaye e riletta da decine di artisti, fra tutti ricordiamo la versione hippie/psichedelica dei Mamas and The Papas sul disco omonimo (1966), quella dei Van Halen, bruttina a dire il vero (1982, su “Diver Down”) e quella di maggior successo, splendida nel suo tamarrismo yuppie anni ’80, ad opera della premiata ditta Mick Jagger-David Bowie, nel 1985, per il progetto Live Aid.                                                                                       Ma le Vandellas non vanno ricordate solo per questo, bensì per la loro sfavillante carriera (come detto prima, in 9 anni di carriera le tre guaglione han piazzato in classifica ben 26 singoli, mica fuffa) e per la loro innegabile bravura, che le ha portate a spaziare dal classico “Motown sound” di pezzi come Nowhere To Run, Wild One e Live Wire alle atmosfere più “bubblegum” di brani come Come And Get These Memories e Love (Makes Me Do Foolish Things) senza dimenticare che fu la loro antimilitarista I Should Be Proud la prima canzone “di protesta” pubblicata dalla Motown, nel 1970 – invero, una canzone non rappresentativa al 100% del loro sound, ma tant’è, non sempre serve un capolavoro per entrare nella storia…
La storia delle Vandellas finisce nel 1973, con Martha Reeves lanciata verso una carriera solista che a parte il primo album omonimo non riserverà grandi spunti (tanto che a fine anni ’70, dopo una ferrea dieta a base di alcool e pilloline, la signora Reeves si ripulirà e diventerà, guarda che strano, una “cristiana rinata” ) e con la consueta appendice di qualche sporadica reunion (l’ultima nell’agosto del 2012) a rinverdire i fasti del passato – se volete farvi un’idea esauriente della loro musica, nel 1993 per la Motown è uscita una raccolta che condensa in due CD il meglio da loro prodotto.






sabato 27 ottobre 2012

Le nostre vacanze : un tour de force per due adulti e due gagni. Parte 1

Ohhh, ecco.
Approfittando del fatto di essere bloccato sul divano causa schiena incriccata, posto un breve resoconto delle vacanze appena trascorse per mezzo stivale.
"Cazzo me ne frega" potreste dire voi, e probabilmente avreste anche ragione, ma il mio intento, qui sul blog,  è quello di lasciare oltre che un "diario" in etere, qualche utile informazione per chicchessia.
Ma andiamo oltre.
Dunque, dopo aver caricato la macchina all'inverosimile la sera precedente, "e sì, con due bambini come fai a non portare questo ???" la mattina del 16 settembre, alle ore 6 in punto, si parte.
Destinazione Marina di Castagneto Carducci (LI), dove ci aspetta la prima tappa, Il Parco Giochi Cavallino Matto.
Quattro ore e fischia di macchina, che sono un prequel di quanto ci aspetterà nei giorni a venire.
Il parco pur essendo di recentissima costruzione non è una cosa entusiasmante, qualche attrazione sparsa in un fazzoletto di terra di maremma, stop.
In compenso e' decisamente caro.
Dopo una giornata all'insegna del divertimento (per i piccini), ripartiamo in tardo pomeriggio per raggiungere San Vincenzo, dove pernotteremo per una notte all'agriturismo Costa Etrusca.
Veniamo ricevuti in un bel giardino, ci offrono un bicchiere di the' e ci mostrano il nostro appartamento.
Tutto curato e di buon gusto, doccia e via, cena nel ristorante della struttura.
Ora inizia il divertimento per i genitori.
Ottimi antipasti accompagnati da ottimo Chianti, Pici al ragu e poi...la prima Visione Divina :
Grigliata di carni miste nostrane, agnello vitello e maiale di Cinta.
E' apoteosi.
La mattina seguente leviamo le tende e ci dirigiamo a Grosseto, visitina al centro storico, un panino con la porchetta in uno splendido negozietto a pranzo e raggiungiamo un nuovo agriturismo.
La struttura si chiama Volta di Sacco, ed è appena fuori dalla città.
Un casolare con diverse stanze immerso in un enorme podere, stanze ristrutturate in puro stile Toscano, servizio biciclette e spazi veramente estesi.
Già rimpiangiamo di avere prenotato solo per una notte.
Prendiamo le bici e ci lanciamo nelle strade bianche del podere alla ricerca delle stalle degli animali.
Tornati in camera doccia e ritorniamo in città, dove ceniamo al "Canto del Gallo", una trattoria nel centro gestita da una simpatica signora in stile Sora Lella.
Ovviamente non lesiniamo sulle portate, tutte ottime.
E' un nuovo giorno, ed il programma è di dirigersi verso Siena.
Nel tragitto ci fermiamo nell'incantevole San Galgano, dove visitiamo l'abbazia e la famosa spada nella roccia.
Consumiamo un veloce pranzo in una baita attrezzata e ripartiamo, direzione Sovicille.
Il Beb Casa Giulia, situato nel mezzo di un bosco, è gestito da un simpatico signore Svizzero di nome Frank, e dalla moglie Italo-Inglese, Anna.
Un delizioso posto, tipicamente rurale, composto da una borgata di cinque o sei caseggiati,
la parte di proprietà del sig.Frank comprende una chiesetta sconsacrata, simpaticamente adibita ad uso cinema con tanto di proiettore ed impianto surround.
Probabilmente, se il posto in questione si trovasse in una zona piu' "trendy", sarebbe luogo di pellegrinaggio per personaggi di chiara ispirazione Hipsteriana, mentre invece, la clientela è decisamente gente "genuina".
Occupiamo la stanza, sistemiamo i bagagli e dopo una doccia ci lanciamo in una visita a Siena by Night.
Inutile decantare le meraviglie architettoniche della città, veramente affascinate e a "misura d'uomo",
il turismo di massa e' l'unica nota negativa da affibbiarle, ma tant'e'.
Ceniamo al ristorante pizzeria "Fonte Giusta".
Il giorno successivo visitiamo il borgo di Casole d'Elsa, tipico esempio di splendore Toscano, composto da antico (la parte alta del paese) e moderno, con un sistema di ascensori per raggiungere le mura dalla strada.
Successivamente ci dirigiamo a San Gimignano, dove abbiamo il tempo di arrivare e raggiungere un bar a causa di un improvviso temporale, che ci vede costretti a rintanarci consumando taglieri di salumi e formaggi misti e Chianti a volontà.
Nel bel mezzo della bagarre degustativa, una teutonica mamma ed il suo pupo, si soffermano a giochicchiare con Bianca, che innocentemente mette un ditino nella bocca del bimbo Germanico.
Il crucco non ci pensa due volte, e chiude le fauci in un morso cannibale che segna il dito della piccola.
'Nnamo bene.
Il temporale non molla, decidiamo quindi di tornare alla base, dove guardiamo nell'insolito cinema un film di animazione ed in serata ci rechiamo nel paese di Sovicille a mangiare una pizza alla "Compagnia".


Fine prima parte






giovedì 25 ottobre 2012

Una nuova avventura, un nuovo giocattolo: il Camper

Da tempo immemore la mia testa bacata mi diceva di acquistare un Camper.
La vocina interiore è tornata a farsi sentire insistentemente durante le recenti vacanze, delle quali devo fare un bel report non appena mi prende l'ispirazione.
Questa volta l'ho ascoltata.
Mi informo, butto voce e tac, trovo un Ford Transit del 1983 abbisognoso di qualche cura ma in buono stato e via, fo' l'affare, barattando con una Vespa del 1961.
Il mezzo, che trasuda da ogni bullone quel ruspante retrogusto vintage che tanto mi piace, è sotto i ferri per qualche piccolo (n'somma) intervento.
Meccanicamente davvero in ordine, appena quarantamila km percorsi, ha subito da un lato l'effetto dell'acqua, una infiltrazione dal tendalino ha provato gli interni.

E allora via alle operazioni , si interviene !!!

https://plus.google.com/photos/113953053534815048677/albums/5803325271433407217


to be continued ...

sabato 20 ottobre 2012

W le poste !

Evviva ! Ho appena ritirato il flash acquistato il 27 agosto su ebay, ovviamente pagando 22 euri di sanzione doganale a quei simpaticoni delle poste. Vedrete che foto in ferie ... Quelle dell'anno prossimo ! Ah, il mercato libero...

Published with Blogger-droid v2.0.8

mercoledì 26 settembre 2012

Involtino campagnolo

Filetto di maiale toscano con ripieno di polpa di salamella di cinta, gusti e pepe. Alla brace ed accompagnato con chianti. Slurp.

Published with Blogger-droid v2.0.8

domenica 19 agosto 2012

Trent'anni di cd


In quest'epoca di mp3, formati compressi e musica liquida, il buon vecchio Compact Disc compie trent'anni.

Auguri !


30 Anni di Compact Disc