Bugiardino

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venerdì 7 dicembre 2012

Pelliccia's corner (letsfallinlovewithmusic) : Quello che spacca.

Proprio quel disco, quello che metti su quando vuoi spaccare il culo anche alle mosche, è di lui, o meglio del suo che ci parla Mister P questa sera.

Chèvvelodicoaffà.

Rumore Bianco

Probabilmente ognuno di voi, nel novero dei suoi dischi preferiti, ha una sorta di catalogo: il disco per una cenetta romantica, il disco per quando si vuole stare da soli coi propri pensieri, il disco per fare le pulizie di casa (i malati hanno anche questa catalogazione. Il mio? James Brown, “Sex Machine”) etc.etc. Ovviamente in questa speciale classifica non può mancare “il disco da mettere su quando hai voglia di spaccare tutto”, che nel mio caso è, decisamente, “Kick Out The Jams” dei sottovalutatissimi, imprescindibili MC5, gruppo che ha aperto la strada a colonne come gli Stooges, per dirne una.
Tanto per iniziare, considerate che per chi scrive questo è il secondo miglior disco live della storia del rock tutto (il primo è ovviamente “Live at Leeds” degli Who) ed è anche il disco di debutto per questa formazione americana, nata nel 1964 per volere dei due chitarristi terribili Fred “Sonic” Smith e Wayne Kramer e che potremmo definire “punk prima del punk”. Certo, musicalmente gli MC5 son riconducibili ad altro, una specie di garage rock psichedelico imbevuto di blues e r’n’r (!), influenzato tanto dal surf caciarone di Dick Dale quanto dal blues primitivo di Bo Diddley e dalle atmosfere spaziali di Sun Ra…ma quello che li porta ad essere considerati degli antesignani del punk è più che altro l’atteggiamento: nichilista e distruttivo (il gruppo esordì nel 1969 e nel 1972 si sciolse minato dagli abusi di tutti e cinque i componenti, dei veri losers come li avrebbe cantati più tardi Johnny Thunders) ma nel contempo carico di quella rabbia e di quel desiderio di cambiamento che l’epoca richiedeva (gli MC5 sono diventati famosi anche per la loro amicizia con le sovversive White Panthers, sorta di gruppo bianco di appoggio alle Black Panthers nato a Detroit e capeggiato dallo spiritato anticapitalista Jason Sinclair). Ma lasciamo da parte i retroscena politici e torniamo al nostro esplosivo padellone….
Registrato in due notti al Detroit Grande Ballroom nel 1969, gli MC5 concretizzano la fama crescente che i loro infuocati live acts stavano guadagnando; non un secondo di cedimento, anche nelle parti più ipnotiche e rallentate la tensione è tale che è impossibile stare fermi o lasciarsi andare. L’inizio con la cover della misconosciuta “Ramblin’Rose” è un pugno nello stomaco di dimensioni inusitate, così come lo è “Rocket Reducer No.62 (Rama Lama Fa Fa Fa)”, un delirio rumoristico di quasi sei minuti; se nell’infinita rivisitazione di “Motor City Is Burning” il cantante Rob Tyner risveglia le coscienze degli astanti celebrando le Black Panthers, nella conclusiva “Starship” si va a citare una delle poesie di Sun Ra (per Smith e Kramer una vera ossessione, soprattutto in virtù dell’approccio free jazz del loro chitarrista Sonny Sharrock). Ma la vera perla del disco, la summa di sessant’anni di storia del rock e di schitarrate mimate davanti allo specchio da parte dei rockers di tutto il mondo, è la seconda canzone del disco, quella “Kick Out The Jams” che ogni rockband del pianeta ha suonato almeno una volta nella vita; tre minuti di pura gioia, “it’s time to kick out the jams, motherfuckers” ed è impossibile capirci qualcosa o descrivere quello che si prova. Il manifesto programmatico di chi nella sua vita non può vedersi se non sul palco, dietro al microfono o con uno strumento appeso al collo o a pestare dietro le pelli, forse, rende bene l’idea. That’s rock, folks.


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