Bugiardino

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domenica 7 aprile 2013

Pelliccia's corner : Unfinished Genius

" Io non capisco tutto questo Roc'n roll, io non capisco La Si Do Re Mi Fa Sol ".

La puntata odierna del corner, si apre parafrasando l'inimitabile Elio che tesse le lodi nel testo citato della

famigerata Disco Music dei seventies.

Parleremo allora di disco direte voi, manco per il cazzo (usando un francesismo) vi rispondero' io.

Il fatto è che il genere di cui parliamo questa sera, il trip hop appunto, è quanto di piu' lontano si possa

andare, prendendo una direzione diversa dalla sopra citata disco music da un ipotetico centro chiamato rock

and roll.

Possiedo e conosco il disco in disamina, Heligoland, e personalmente seppur riconoscendo l'alto valore

artistico dell'opera non lo ritengo minimamente all'altezza di un Mezzanine, album che ho adorato.

Ma adesso spazio al preparatissimo Mister P, che ci condurrà in una nuova delirante avventura in pieno

Pelliccia Style.

Tacalamusica.


Unfinished Genius

Certamente molti di voi ricordano i Massive Attack come il gruppo di “Mezzanine”, di quella splendida canzone che è “Teardrop”. I più scafati di voi, forse, se li ricordano dai tempi di “Protection” e “Blue Lines”, quando gettarono assieme ad altre menti illuminate i semi di quella che fu la scena trip-hop. Ma in pochi, ahimè, se li sono filati dopo “100th Window”…bene, io son qui a porre un piccolo piccolissimo rimedio parlando del loro ultimo disco, “Heligoland”, uscito nel 2010. Del Naja e (nuovi) compari non son certo rimasti con le mani in mano per sette anni, tra colonne sonore, comparsate qui e là e registrazioni mai date in pasto alle orecchie di noi appassionati. Ma questo disco, se possibile, li spinge un ulteriore passo avanti in ogni planetario indice di gradimento.
Disco intenso, non facilissimo e per questo ancor più interessante, “Heligoland” è il secondo disco che 3D (mr. Del Naja) assembla senza l’ausilio dei suoi storici soci Daddy G e Mushroom (il secondo, soprattutto, artefice dell’incredibile armamentario sampladelico dei dischi precedenti), ma non sfigura assolutamente rispetto ai suoi predecessori; merito dell’indubbia qualità del songwriting, merito dei musicisti coinvolti (un nome su tutti Adrian Utley dei Portishead), merito anche dell’impressionante parterre di voci chiamate a interpretare i pezzi; se Horace Andy è ormai una presenza fissa nei dischi del combo di Bristol, notiamo Martina Topley-Bird, Hope Sandoval dei furono meravigliosi Mazzy Star, Guy Garvey dei mai troppo lodati Elbow, Tunde Adebimpe dei TV On The Radio e uditeudite Damon Albarn!
Ma veniamo alle canzoni: “Pray For Rain” (cantata da Adebimpe) apre con un piano minimale e un tappeto percussivo coinvolgente e ipnotico, quasi un sunto delle migliori intenzioni di certi Radiohead; “Babel” con la splendida voce della Topley-Bird continua il viaggio con un sinuoso magma electro, mentre “Splitting The Atom” è sorretta dalla profondissima voce di Horace, e da un contrappunto di organo da brividi; “Girl I Love You” ci regala uno dei migliori giri ritmici degli ultimi anni, roba che neanche un morto riuscirebbe a stare fermo…e “Psyche” arriva a far riprendere fiato, eterea e impalpabile; a proposito di trip-hop, arriva un gioiellino come “Flat Of The Blade”, immobile e solenne, carezzata dalla voce meravigliosamente triste di Guy Garvey – e a proposito di voci meravigliose, in “Paradise Circus” Hope Sandoval prende per mano l’ascoltatore e lo porta davvero in paradiso, alla faccia di tutto l’esercito di giovani scopiazzatrici un po’ povere di talento di questi anni (chi ha detto Lana Del Rey?) “Rush Minute” è forse l’episodio più sottotono del disco, ed è (assieme a “Atlas Air”, la dimostrazione che si può provare a inscatolare l’infinito in sette minuti con l’ausilio di qualche colpo di batteria e di un malatissimo e devastante riff costruito sull’organo) l’unica prova vocale di Del Naja. Il fulcro del disco, la vetta assoluta, è però raggiunta dalla traccia numero nove: “Saturday Come Slow”. Tre minuti e ventotto secondi di estasi completa, un tappeto acustico struggente, interventi elettronici misurati (e qui di nuovo fanno capolino i Radiohead, a dimostrazione di quanto dannatamente sian stati influenti) e la voce di Damon Albarn, rotta e magnifica, che con invidiabile partecipazione emotiva si butta in un testo grigio come il cielo britannico.
Cosa ci fate ancora qui a leggere quesato inchiostro virtuale? Filate a comprarvelo, se invece già lo avete mettetevelo su, e rendete il giusto merito a uno che di musica se ne intende. Robert, eh……..



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